martedì 15 settembre 2009

Cioccolata, felicità e ragione

Ieri sera dopo cena mi sono ritrovato in tavola una di quelle barre di cioccolata enormi e pesantissime. Quelle che hanno 8 quadretti, ma grandi quando amplificatori Marshall. La cioccolata in questione era extrafondente e la sua confezione, o meglio, le scritte sulla sua confezione mi hanno fatto sorgere dei dubbi.
Al centro della confezione c’è scritto a caratteri cubitali “CIOCCOLATO EXTRA FONDENTE”, poi sotto la stessa cosa, ma in tedesco, “Reine Bitterschokolade”, ed in sloveno “Čokolada”.
Come avrete notato la definizione in tedesco è la traduzione esatta di quella in italiano, ma quella in sloveno sembra un po’ meno dettagliata. Ed è qui che mi è sorto il dubbio: in sloveno nella parola “Čokolada” è sottinteso anche il termine “extra fondente” – e quindi sono gli altri tipi di cioccolata a venire specificati con un’aggiunta a quel termine – oppure la ditta che ha prodotto quella cioccolata (ditta italiana) è talmente razzista da ritenere gli sloveni un popolo così inferiore da non sentirsi in dovere di informarli che quel cioccolato è extrafondente?
Dopo aver esposto questo mio dilemma ai miei commensali un amico, mio ospite, ha fatto questa osservazione: il problema di farsi certe domande, per quanto siano sensate (“intelligentissime”, ha detto lui), è che tu perdi tempo nel cercare una risposta, mentre gli altri, nella loro beata ignoranza, vivono la loro vita.

E qui mi è venuto in mente quel racconto di Voltaire che vado a copiarvi; l’ho preso pari pari da internet, quindi ci sono un po’ di capoversi che, di fatto, non so se ci sono anche nell’originale, ma importante è che si capisca... il fatto che vada spesso a capo è indifferente!

Voltaire, “Storia di un buon bramino”
Viaggiando incontrai un vecchio bramino, un uomo molto saggio e sapientissimo.
Vicino alla sua bella casa, circondata da un giardino incantevole, abitava una vecchia indiana, bigotta e piuttosto povera.
Un giorno il bramino mi disse: - Vorrei non essere mai nato.
Gli chiesi il perché.
Mi rispose: - Da quarant’ anni studio e sono quarant’anni perduti: insegno agli altri e ignoro tutto: questo fatto mi umilia tanto che la mia vita è diventata insopportabile. Sono nato, vivo nel tempo e non so che cosa sia il tempo; mi trovo in un punto fra due eternità, come dicono i nostri saggi, e non ho nessuna idea dell’eternità. Sono fatto di materia; penso, e non ho mai capito da che cosa nasca il pensiero. Non so perché esisto. Eppure ogni giorno mi fanno delle domande proprio su questi argomenti; bisogna rispondere; nulla di buono ho da dire e parlo molto, e resto confuso e vergognoso di me, dopo che ho parlato. “Ah, reverendo padre, così mi si dice,spiegateci perché il male inonda la terra tutta!” Io ho gli stessi dubbi di quelli che mi interrogano e talvolta rispondo loro che nel mondo tutto va per il meglio, ma quelli che sono stati rovinati e mutilati in guerra non ci credono affatto, ed io lo stesso. Arrivo quasi a disperarmi quando penso che dopo tutte le mie ricerche non so da dove vengo, quel che sono, né dove andrò dopo la morte, né quel che diventerò.
Lo stesso giorno vidi la vecchia che abitava vicino a lui e le chiesi se mai si fosse angustiata per non sapere come era fatta la sua anima.
Neppure capì la questione: in tutta la sua vita non aveva mai riflettuto su uno dei problemi che rendevano infelice il bramino; credeva con tutto il cuore in tutto ciò che le avevano insegnato e rispettava le tradizioni religiose: credeva nelle metamorfosi di Visnù e purché avesse ogni tanto dell’ acqua del Gange per purificarsi, si riteneva la donna più beata del mondo.
Colpito dalla felicità di quella povera creatura, tornai dal mio bramino filosofo dicendogli: Non vi vergognate a sentirvi infelice quando vicino alla vostra porta avete un vecchio automa che non pensa a nulla e vive contento?
Avete ragione - mi rispose. - Cento volte mi son detto che sarei felice, se fossi sciocco come la mia vicina, eppure non vorrei una tale contentezza.
Questa risposta del bramino mi fece più impressione di tutto il resto; esaminai me stesso e vidi che veramente anch’io non avrei voluto essere contento a patto d’essere imbecille.
Proposi la faccenda ad alcuni filosofi e furono d’accordo con me.
Eppure dicevo c’è una grande contraddizione nel nostro modo di pensare. Perché, in fondo, qual è il nostro problema? Quello di essere felici. Che importa essere intelligenti o essere sciocchi? Chi è contento di essere com’è, è ben sicuro di essere contento; chi ragiona, non è altrettanto certo di ragionare bene.
Dunque è chiaro dicevo che bisognerebbe scegliere di non avere intelligenza, per poco che l’ intelligenza contribuisca al nostro malessere.
Tutti furono del mio parere, eppure non trovai nessuno che volesse accettare il patto di diventare imbecille per diventare contento. Da ciò conclusi che se noi apprezziamo la felicità, apprezziamo ancor di più la ragione.

E per citare qualcosa di molto precedente a questa storia, possiamo trovare nella Bibbia il sunto di tutto questo: il re Salomone nel primo capitolo del libro dell’Ecclesiaste, al versetto 18 dice: “Infatti, dov'è molta saggezza c'è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.”

So che Voltaire e la Bibbia non c’entrano nulla col discorso della cioccolata extrafondente… ma, d'altronde, quante volte capita di partire da un tema e finire a parlare di altro!?

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