domenica 13 dicembre 2009

Il risultato degli eventi

Assurdo come l’evolversi degli eventi conduca talvolta ad eventi assolutamente inaspettati, talvolta a risultati prevedibilissimi.
Gli avvenimenti prendono le pieghe più disparate. Ciò che sembrava ovvio fin dall’inizio ci mette un’eternità a realizzarsi; quello che, invece, da principio sembra impossibile si compie sul nascere. Per quanto l’uomo voglia illudersi di controllare il mondo, c’è sempre una forza più grande di lui, una forza che l’uomo non può comandare.
Il susseguirsi li avvenimenti, l’evolversi delle situazioni è un’incognita. Un’infinita variabile il cui valore non è mai decretabile con certezza.
Quindi perché arrovellarsi tanto? Perché darsi tanta pena per qualcosa che non possiamo dominare?
C’è una sola soluzione: SCIALLO!

giovedì 10 dicembre 2009

Volere è potere?!

Volere è potere, si dice.
Non è così! “Volere” non è “potere”.
Avete mai sentito qualcuno incapace di intendere e di potere? Avete mai sentito qualcuno che poteva un caffè al bar?!
“Volere un aumento” non è “Potere un aumento”.
“Te possino ammazzà” non è “Te voglino ammazzà”.
“Volere più potere” non è “potere più potere” o “potere più volere” o “volere più volere”.
E se proprio vogliamo dirla tutta, “TVB” non è “TPB”.

venerdì 4 dicembre 2009

Miscellanea Dicembrina

Fu quando comparve sul mio desktop l'iconcina quadrata color verde acido riportante le lettere "Dw" che realizzai che la mia stabilita psicologica stava per essere turbata per sempre.
A buon intenditor...

C'è un mattonazzo di svariate centinaia di pagine che mi guarda minaccioso! Ce la farò a dare questo maledettissimo esame a febbraio?!?

Se qualche lettore ha da consigliarmi un po' di valida musica acappella (e per "valida", con tutto il rispetto, non intendo i Neri Per Caso) mi lasci un commento, tenchiu!

Che altro dire? Mah... niente.

Saluti

giovedì 19 novembre 2009

TRUFFA!

Per quanto questo blog è poco seguito, nel mio piccolo posso fare qualcosa...
Mi hanno telefonato poco fa dalla "Telecom Italia" cercando mio padre. Visto che lui non c'era mi hanno chiesto di farli richiamare al numero verde 800362323.
Appena chiuso il telefono ho cercato questo numero su Google scoprendo da svariati forum che molte persone sono state contattate da queste persone che segnalavano il mancato pagamento di una bolletta telefonica. Alcune di queste persone si sono informate e hanno scoperto (chiamando anche il 187) che questo numero verde NON appartiene alla Telecom Italia, ma che rimanda ad altri numeri a pagamento!
In altre parole, se vi chiamano dicendovi di richiamare quel numero verde... non fatelo perché è una truffa!
Spero di essere stato utile a qualcuno...
Diffondete il verbo, se possibile.

mercoledì 18 novembre 2009

Viviamo (ancora) nella terra dei cachi!!!

Era il 1996 quando gli Elio e le Storie Tese portavano "La terra dei cachi" al festival di Sanremo. A distanza di 13 anni questa canzone è ancora assolutamente attuale... e la cosa, ad essere onesto, mi inquieta tantissimo!
Vi ripropongo il testo della canzone sperando cogliate i significati nascosti...


Artista: Elio e le Storie Tese
Titolo: La terra dei cachi
Album: Eat the phikis

Parcheggi abusivi, applausi abusivi,
villette abusive, abusi sessuali abusivi;
tanta voglia di ricominciare abusiva.

Appalti truccati, trapianti truccati,
motorini truccati che scippano donne truccate;
il visagista delle dive è truccatissimo.

Papaveri e papi, la donna cannolo,
una lacrima sul visto:
Italia sì, Italia no.

Italia sì, Italia no,
Italia bum, la strage impunita.
Puoi dir di sì, puoi dir di no,
ma questa è la vita.
Prepariamoci un caffè,
non rechiamoci al caffé:
c'è un commando che ci aspetta
per assassinarci un po'.

Commando sì, commando no,
commando omicida.
Commando pam!,
commando prapapapapam!,
ma, se c'è la partita,
il commando non ci sta
e allo stadio se ne va,
sventolando il bandierone
non più il sangue scorrerà.

Infetto sì? Infetto no?
Quintali di plasma.
Primario sì, primario dai,
AAAAH! Primario fantasma.
Io fantasma non sarò, e al tuo plasma dico no;
se dimentichi le pinze fischiettando ti dirò:
"Fi fi fi fi, ti devo una pinza.
Fi fi fi fi, ce l'ho nella panza".

Viva il crogiuolo di pinze,
viva il crogiuolo di panze. Eh!
Quanti problemi irrisolti,
ma un cuore grande così.

Italia sì, Italia no,
Italia gnamme!, se famo du' spaghi.
Italia sob, Italia prot,
la terra dei cachi.
Una pizza in compagnia,
una pizza da solo;
un totale di due pizze
e l'Italia è questa qua.

Fufafifì, fufafifì, Italia evviva.
Squerellerellèsh, catarapàrupai,
Italia perfetta, perepepé nainananai.
Una pizza in compagnia, una pizza da solo;
in totale molto pizzo ma l'Italia non ci sta.

Italia sì, Italia no, scurcurrillu, currillo.
Italia sì: ué!!!
Italia no, spereffère fellecche.
Ué, ué, ué, ué, ué.

Perché la terra dei cachi è la terra dei cachi.

lunedì 16 novembre 2009

Art Session: Mario Amaya

Quando vedi il baffo della Nike o il coniglietto di Playboy, sai già cosa rappresenta quel logo!
Non la pensa certo così Mario Amaya che ha deciso di prendere alcuni loghi ormai celeberrimi e di affidarli ad altri marchi. Il risultato è tanto ottimo quanto geniale.

QUI una rassegna di questi loghi.

mercoledì 4 novembre 2009

Recensione #1


Artista: Soul Killa Beatz
Album: "Do you like cembalo?!"

Diego dei Soul Killa Beatz mi ha chiesto (così, en passant, su Facebook) di fargli una recensione del loro “Do you like cembalo?!”. Io i Soul Killa Beatz non li conosco di persona, ho solo contatti virtuali con il suddetto Diego (tranne una brevissima conversazione di persona in occasione del live degli Ex-Otago all’Italia Wave del 2008), però non posso dire non nutrire una certa simpatia per loro. Ma cercherò di essere oggettivo.
È quasi patetico: sto scrivendo come fossi davvero un critico musicale di Rockit!
Inizio subito facendo l’infame per poi parlarne positivamente alla fine!
“Do you like cembalo?!” non è certo l’album che cambierà le sorti dell’indiepop italiano, però non è un disco da prendere e buttare via.
È piacevole, nel senso più positivo del termine. E sembrerebbe (almeno all’orecchio di uno che si basa solo sul suo gusto personale) che l’impegno ci sia. Le tracce sono solo 7, 5 se togliamo intro e outro, ma sembra non voler essere affatto un disco superficiale. È un disco semplice: le musiche sono dirette, leggere, facili da digerire… in una parola, orecchiabili! Chitarre spesso acustiche, tastierino giocattolo e cembali!
Ma c’è una differenza abissale tra semplice e superficiale: semplice = bene; superficiale = male… per farla proprio breve.
I testi sono autobiografici e non, ma mai troppo espliciti. Le canzoni parlano di un mondo visto con gli occhi di alcuni ventenni negli anni della crisi dei valori. Ma forse loro (noi) questi valori li vogliono (vogliamo) trovare. Li cercano nei treni in partenza, negli scarabocchi, e soprattutto nei ricordi… e scusate se è poco!
Troviamo anche una collaborazione (telefonica) del Pernazza (directly from Ex-Otago!) in “Remeber di respirare”, pezzo che parte assolutamente funky per sfociare poi in uno spaccato di infanzia quasi commovente… dico davvero!!!
In conclusione “Do you like cembalo?!” è un disco di quelli che ti mettono di buon umore alla fine di una giornata non proprio delle migliori.

QUI il Myspace dei SKB

P.S. Diego, per i 2000 € ci mettiamo d’accordo in separata sede! ;D

venerdì 23 ottobre 2009

Quando parli con qualcuno devi prendere in considerazione l'ipotesi che potrebbe aver votato Berlusconi.

giovedì 22 ottobre 2009

Il nostro oro

Ricordo che nel cortile dell’asilo che frequentavo da bambino c’era uno scivolo; il terreno su cui era messo questo scivolo era piuttosto morbido ed umido, e spesso noi bambini ci mettevamo a scavare, con il classico legnetto, questo terreno. Sopra di noi, i meno interessati a scavare, scivolavano, e noi sotto a fare le buche. Ricordo che c’era un motivo particolare per il quale scavavamo: l’oro.
Sotto il primo strato di terra c’era un altro tipo di terra; non so per quale ragione chimico-organica, ma questa terra era di un colore fra il rossiccio e l’argentato. I bambini, si sa, hanno molta fantasia e quindi noi, bambini quali eravamo, ci dicevamo che quella terra così particolare fosse oro. Lo sapevamo benissimo che non era oro, ma ci piaceva immaginare che lo fosse.
Ci bastava un legnetto, ci bastava sederci sotto a quello scivolo e avevamo trovato il nostro oro.
Oggi, a 20 anni, mi rendo conto che non mi basta più un legnetto e un terriccio argentato. Oggi, quando pensiamo all’oro, in testa abbiamo ben altro che semplice terra. Dov’è finita quella fantasia? Dov’è finita quell’immaginazione che ti faceva essere la persona più felice del mondo con un po’ di terra? È assurdo pensare che oggi molti si sentono felici solo possedendo ettari ed ettari di terreno… e a noi ne bastava meno di un metro quadro.
La verità è che quella che noi chiamiamo “maturità”, quella specie di conoscenza che deriva dalle nostre esperienze, se viene troppo esaltata va a rimpiazzare totalmente la fantasia, l’immaginazione.

Proverò a trascrivere il testo di una canzone in vernacolo pisano dei Gatti Mézzi (dove “mézzi” sta per fradici, bagnati), gruppo jazz/swing di Pisa che fa canzone in pisano, appunto. La canzone non parla proprio del trovare oro, ma, più specificatamente, dello scavare buche. Credo sia in parte attinente e la condivido.


Artista: I Gatti Mézzi
Titolo: Vango per passione
Album: Anco alle puce ni viene la tosse

Vango la terra e mi sfogo, la rimugino, la batto, la sbriciolo e mi ci ritrovo.
Non sono un contadino; vango per passione.
Con gesto anti’o, le mano stringo ‘r mani’o, ‘r piede pigio sur pallonzolo.
Bu’o la terra, c’entro dentro.
Ah bene! Ah bene!
I lombri’i un vanno ammazzati; stai attento a’ lombri’i!
Prendo ‘n mano una zolla, grassa e profumata, l’annuso poi la strizzo.
Ah bene!
Toh, lombri’o godi! Toh, godi!
T’aiuto a bu’à, t’aiuto a anda’ più fondo.
Tieni, la merda der cane ti do! T’aiuto, aiutami: trasformala.
Vango per passione: mi rammenta ‘r mi babbino.
Vango e mi sfogo!
Dev’esse’ quer sòno sordo, quer vibrio che m’arriva ner piede puntellato sur pallonzolo.
Si strappa la radicina, si sbriciola ‘r sassino… è lì che dovento scemo!
Non sono un contadino; lui dura fati’a, si sfonda ‘r groppone, si mola le mani… io godo e basta! Alla terra ‘un ni ‘hiedo ‘ frutti, un ni do nemmeno ‘ semi.
La bu’o, la rivorto, la sciupo… ma con garbo.
Perché ‘ bimbi scavano le bu’e? Cosa cercano ‘ bimbi vando scavano le bu’e?
Io ora lo so: ‘un cercan nulla… scavano, per passione.
Dev’esse’ ‘r piace’ di vede’ ‘r vòto dove prima ‘un c’era.
“Bimbo, l’hai fatto te quer popò di bu’o?”
“Sì, l’ho fatto io! Che popò di bu’a t’ho fatto!”
Ecco, è tutto lì!

martedì 20 ottobre 2009

A proposito del post precedente, eccovi un video realizzato dal sottoscritto...

STEREOTYPES KILL IDEAS from Hum.as on Vimeo.

Individualismo collettivo

La creatività è un po’ egoista. Quale creativo produce per sé? Chi, dopo aver dato alla luce una nuova creatura, non è smanioso di farla vedere al mondo?
Egoismo. O forse altruismo. Altruismo nell’ottica in cui l’opera risulti utile agli altri.
Immaginatevi librerie senza libri, negozi di dischi senza dischi, musei d’arte senza opere d’arte, mostre fotografiche senza fotografie, e così via…
Il creativo ha bisogno di consensi, di approvazione; vi dirà che gli fanno piacere anche le critiche, ma non è sempre vero.
Il creativo è egoista (specie i grafici, dicono), e il suo egoismo passa attraverso le sue opere.
Qual è quella band che non vuole una schiera di fan? Qual è quello scrittore che non vuole i suoi lettori?
Oggi poi questa vetrina è a disposizione di chiunque. Questo blog ne è la prova, ogni blog ne è la prova. Le pagine di Myspace dove i vari artisti pubblicano musica, foto, dipinti.
Ormai un nuovo libro, un nuovo disco, una nuova esposizione non sono più eventi così straordinari. Per fortuna, o purtroppo.
È molto più difficili essere raggiunti, senza “sponsor”, ma basta un computer e una connessione a internet per dire la proprio a un numero più o meno ampio di persone. E di questo passo si perde la voglia di trovarsi, di discutere davanti ad una birra. Non sto scoprendo l’acqua calda dicendo che la direzione in cui stiamo andando è quella dell’individualismo collettivo; vogliamo mostrare a tutti quello che abbiamo fatto da soli. Vogliamo dire la nostra a più persone contemporaneamente. Quindi un concerto, una partita, una conferenza diventano momenti di svago e non più di condivisione. La vera condivisione, oggi, è qui, su internet. Verrò a noia, ma Facebook è il party, la sagra, il festival della condivisione!
Avevo voglia di buttare giù due righe e mi sono lasciato andare in questo flusso di coscienza per partire dalla creatività ed arrivare a Facebook (mi sto venendo a noia da solo!), ed ora, per restare coerenti, salvo, copio, incollo e pubblico tutto.
Saluti.
"Il silenzio è la morte;
e tu, se taci muori
e se parli muori
allora di' e muori..."
[Tahar Djaout]

venerdì 16 ottobre 2009

"I politici hanno una loro etica. Tutta loro. Ed è una tacca più sotto di quella di un maniaco sessuale."

Woody Allen

giovedì 15 ottobre 2009

Miscellanea Ottobrina

Ma sì, alla fine sono contento… sono contento perché Facebook sta passando di moda (molto lentamente) e mi sto convincendo che forse non è IL MALE, ma, se usato in modo corretto può anche essere un mezzo quasi utile!

È tornato il freddo. Me ne sono accorto in particolare dal fatto che non sono bastati 5 minuti di stufetta per scaldare il bagno abbastanza da non soffrire come cani quando non si è sotto il getto caldo per insaponarsi. E così ora toccherà docciarsi nell’altro bagno; quello con la stufetta a muro, che si può tenere accesa anche durante il lavaggio. Ma non è questo il peggiore dei mali.

È successo in questi giorni nel Michigan (come agli inizi dell’anno scorso in Australia) che una signora di 54 anni ha chiamato la polizia per denunciare un furto nella sua abitazione. L’unico inconveniente è che l’oggetto del furto erano delle piante di marijuana… ed hanno arrestato lei!

Vi segnalo inoltre un blog che prende i fatti del giorno per farne del sarcasmo dissacrante: Spinoza

Saluti

sabato 10 ottobre 2009

Il ritorno dei Fascisti

[Con la rarefatta collaborazione di A. Curcuruto]

A volte basta che una serie di circostanze, assolutamente disconnesse tra di loro, si accavallino una sopra l’altra contemporaneamente per avere una percezione distorta – o, se vogliamo, più fantasiosa – della realtà.
A distanza di un anno e mezzo mi è tornato in mente un episodio che, proprio a causa di questo accavallamento di circostanze, mi fece provare una sensazione che ora come ora definirei angoscia.
Ero in quinta superiore e quella mattina, come spesso capitava, prima di andare a scuola mi fermavo in pasticceria a fare colazione – sì, mi tratto bene!
La pasticceria in questione è su una strada della periferia pisana; è piuttosto rinomata per la qualità dei suoi prodotti. Anche se c’è da dire che ultimamente sono scaduti un po’.
L’arredamento del suddetto luogo è piuttosto raffinato, da parere un posto di lusso, anche se non vuole esserlo… almeno credo. Diciamo che può sembrare uno di quei luoghi riservati ad una cerchia più o meno ristretta di persone. E questo fatto, che preso da solo è il più inutile dei fatti, in questa storia va a costituire proprio una di quelle circostanze.
Un’altra circostanza è che eravamo nell’aprile del 2008. Chi ha più memoria si ricorderà subito che nell’aprile del 2008 Berlusconi è salito al governo per la quarta volta; non sarà difficile ricordare anche l’aria che si respirava in quei giorni.
Quella mattina il caso volle che nella pasticceria ci fosse un numero piuttosto alto di persone ben vestite, quasi eleganti. Persone che sarebbero potute appartenere a quell’ipotetica cerchia ristretta di cui parlavo poco fa. Chiamiamola “Borghesia”.
Fu sicuramente un caso che un numero così insolito di persone apparentemente benestanti si ritrovasse lì in quel momento, ma la prima cosa che mi venne da pensare fu: “Ecco, sono tornati i fascisti!”
Ebbi come l’impressione che, con la vittoria del Centro-destra, tutta quella gente di stampo fascista (seppur di gran lunga diluito) fosse uscita dalle tane in cui si nascondeva. Non è facilissimo da spiegare, ma mi sembrò come se questi borghesi ora non avessero più paura di farsi vedere in giro. Come se fosse di nuovo il loro turno e si sentissero liberi di passeggiare per le strade, andare a fare colazione nelle pasticcerie – che, erano luoghi appositamente per loro, per la loro cerchia ristretta – ostentando, inoltre, una certa spavalderia.
Lo ripeto: tutto questo discorso è frutto della mia fantasia; è probabile che lì dentro, quella mattina, non ci fosse stato nemmeno uno che abbia messo la X sul logo de Il Popolo delle Libertà, ma girandomi dal bancone verso la sala e vedendo tutte quelle giacche e quelle scarpe di pelle, la prima cosa che pensai fu proprio: “Ecco, sono tornati i fascisti!”

venerdì 9 ottobre 2009

Marilyn Manson contrae la suina. Lo annuncia su Facebook e aggiunge: "Purtroppo sopravvierò."
Che babbeo!
Mi viene proprio da citare Caparezza: "Se vi piace la morte, spiegate: perché non v'ammazzate?!"

venerdì 18 settembre 2009

TROVA GLI ERRORI!

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

[Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 1]

martedì 15 settembre 2009

Cioccolata, felicità e ragione

Ieri sera dopo cena mi sono ritrovato in tavola una di quelle barre di cioccolata enormi e pesantissime. Quelle che hanno 8 quadretti, ma grandi quando amplificatori Marshall. La cioccolata in questione era extrafondente e la sua confezione, o meglio, le scritte sulla sua confezione mi hanno fatto sorgere dei dubbi.
Al centro della confezione c’è scritto a caratteri cubitali “CIOCCOLATO EXTRA FONDENTE”, poi sotto la stessa cosa, ma in tedesco, “Reine Bitterschokolade”, ed in sloveno “Čokolada”.
Come avrete notato la definizione in tedesco è la traduzione esatta di quella in italiano, ma quella in sloveno sembra un po’ meno dettagliata. Ed è qui che mi è sorto il dubbio: in sloveno nella parola “Čokolada” è sottinteso anche il termine “extra fondente” – e quindi sono gli altri tipi di cioccolata a venire specificati con un’aggiunta a quel termine – oppure la ditta che ha prodotto quella cioccolata (ditta italiana) è talmente razzista da ritenere gli sloveni un popolo così inferiore da non sentirsi in dovere di informarli che quel cioccolato è extrafondente?
Dopo aver esposto questo mio dilemma ai miei commensali un amico, mio ospite, ha fatto questa osservazione: il problema di farsi certe domande, per quanto siano sensate (“intelligentissime”, ha detto lui), è che tu perdi tempo nel cercare una risposta, mentre gli altri, nella loro beata ignoranza, vivono la loro vita.

E qui mi è venuto in mente quel racconto di Voltaire che vado a copiarvi; l’ho preso pari pari da internet, quindi ci sono un po’ di capoversi che, di fatto, non so se ci sono anche nell’originale, ma importante è che si capisca... il fatto che vada spesso a capo è indifferente!

Voltaire, “Storia di un buon bramino”
Viaggiando incontrai un vecchio bramino, un uomo molto saggio e sapientissimo.
Vicino alla sua bella casa, circondata da un giardino incantevole, abitava una vecchia indiana, bigotta e piuttosto povera.
Un giorno il bramino mi disse: - Vorrei non essere mai nato.
Gli chiesi il perché.
Mi rispose: - Da quarant’ anni studio e sono quarant’anni perduti: insegno agli altri e ignoro tutto: questo fatto mi umilia tanto che la mia vita è diventata insopportabile. Sono nato, vivo nel tempo e non so che cosa sia il tempo; mi trovo in un punto fra due eternità, come dicono i nostri saggi, e non ho nessuna idea dell’eternità. Sono fatto di materia; penso, e non ho mai capito da che cosa nasca il pensiero. Non so perché esisto. Eppure ogni giorno mi fanno delle domande proprio su questi argomenti; bisogna rispondere; nulla di buono ho da dire e parlo molto, e resto confuso e vergognoso di me, dopo che ho parlato. “Ah, reverendo padre, così mi si dice,spiegateci perché il male inonda la terra tutta!” Io ho gli stessi dubbi di quelli che mi interrogano e talvolta rispondo loro che nel mondo tutto va per il meglio, ma quelli che sono stati rovinati e mutilati in guerra non ci credono affatto, ed io lo stesso. Arrivo quasi a disperarmi quando penso che dopo tutte le mie ricerche non so da dove vengo, quel che sono, né dove andrò dopo la morte, né quel che diventerò.
Lo stesso giorno vidi la vecchia che abitava vicino a lui e le chiesi se mai si fosse angustiata per non sapere come era fatta la sua anima.
Neppure capì la questione: in tutta la sua vita non aveva mai riflettuto su uno dei problemi che rendevano infelice il bramino; credeva con tutto il cuore in tutto ciò che le avevano insegnato e rispettava le tradizioni religiose: credeva nelle metamorfosi di Visnù e purché avesse ogni tanto dell’ acqua del Gange per purificarsi, si riteneva la donna più beata del mondo.
Colpito dalla felicità di quella povera creatura, tornai dal mio bramino filosofo dicendogli: Non vi vergognate a sentirvi infelice quando vicino alla vostra porta avete un vecchio automa che non pensa a nulla e vive contento?
Avete ragione - mi rispose. - Cento volte mi son detto che sarei felice, se fossi sciocco come la mia vicina, eppure non vorrei una tale contentezza.
Questa risposta del bramino mi fece più impressione di tutto il resto; esaminai me stesso e vidi che veramente anch’io non avrei voluto essere contento a patto d’essere imbecille.
Proposi la faccenda ad alcuni filosofi e furono d’accordo con me.
Eppure dicevo c’è una grande contraddizione nel nostro modo di pensare. Perché, in fondo, qual è il nostro problema? Quello di essere felici. Che importa essere intelligenti o essere sciocchi? Chi è contento di essere com’è, è ben sicuro di essere contento; chi ragiona, non è altrettanto certo di ragionare bene.
Dunque è chiaro dicevo che bisognerebbe scegliere di non avere intelligenza, per poco che l’ intelligenza contribuisca al nostro malessere.
Tutti furono del mio parere, eppure non trovai nessuno che volesse accettare il patto di diventare imbecille per diventare contento. Da ciò conclusi che se noi apprezziamo la felicità, apprezziamo ancor di più la ragione.

E per citare qualcosa di molto precedente a questa storia, possiamo trovare nella Bibbia il sunto di tutto questo: il re Salomone nel primo capitolo del libro dell’Ecclesiaste, al versetto 18 dice: “Infatti, dov'è molta saggezza c'è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.”

So che Voltaire e la Bibbia non c’entrano nulla col discorso della cioccolata extrafondente… ma, d'altronde, quante volte capita di partire da un tema e finire a parlare di altro!?

mercoledì 2 settembre 2009

Mi sono riletto alcuni dei post già pubblicati e ce ne sono alcuni che sono proprio delle pagine di diario. Quindi mi sono detto: perché non scrivere un aggiornamento su quest’ultimo periodo della mia vita? Lo leggeranno in pochi, ma avevo voglia di scrivere. Ed ora che sto scrivendo qualcosa con l’unico scopo di pubblicarlo su questo blog ho anche trovato un argomento che è sicuramente più interessante della mia vita.
Avete fatto caso che da un po’ di tempo noi giovani abbiamo la tendenza a “condividere” i fatti nostri ovunque?
Questo blog ne è un esempio (anche se pubblico per lo più cose che non mi riguardano in prima persona). Ma l’esempio più brillante, ultimamente, non può che essere… esatto! Proprio lui! Il nostro amato, adorato, venerato Facebook (o “Faccialibro” per i no-global, o “fb” per i più svogliati)!!! Facebook: la festa, la sagra, il festival della condivisione! Che poi parlo io… io che l’avevo tolto e che l’ho rimesso! Ma lasciamo perdere me…
Spiegatemi la vera utilità di Facebook. O meglio, spiegatemi in che modo Faceboo può essere utile usato nel seguente modo: postando 12.000 foto per ogni evento della nostra esistenza; iscrivendosi a gruppi inutili (es. “per tutti quelli che almeno una volta nella vita… sono andati al bagno! XD”) etc.etc.etc.
Per quando mi riguarda (ma sì… riparliamo di me!) sto cercando di utilizzarlo in modo, per quanto possibile, in modo più intelligente.
Ed ora non so come concludere questo discorso. E lo pubblico così… toh!
Saluti.

giovedì 27 agosto 2009

Art Session: Egon Schiele


“Alcuni dipinti di Schiele hanno lasciato intendere che egli poteva portare alla luce l’intimo dell’uomo ed ecco che la vista di ciò che è accuratamente nascosto faceva orrore, perché è fetido e rognoso e colpito da un divorante disfacimento. Egon Schiele ha osservato i volti e li ha dipinti, volti che ammuffiscono pallidi e sorridono afflitti, e che assomigliano ad espressioni di vampiri a cui manca il cruento nutrimento; volti di invasati le cui anime sono purulente e che lasciano coagulare i loro dolori indicibili in rigidità da maschera. Ed ancora volti che offrono una raffinata sintesi visiva della vita interiore umana in tutte la più sfumate manifestazioni visibili dell’almanaccare, del meditare, del riflettere, del sognare e dell’essere appassionato, del male e del bene, dell’intimo, del caldo e del freddo. Egli ha visto occhi glaciali nei volti umani e li ha dipinti, rilucenti nei pallidi colori della putrefazione; ha percepito la morte sotto la pelle. Con grande stupore ha osservato mani intirizzite e deformate ed impacciate, con la pelle rugosa e le unghie gialle. […] Non lo si comprende, se si ritiene che abbia dipinto tutto questo per una perversa predilezione.”
[Arthur Roessler]



mercoledì 26 agosto 2009

domenica 9 agosto 2009

Gigiballa

C’era a Livorno il “parterre” (così veniva chiamato), un giardino zoologico che fortunatamente oggi è rimasto solo giardino. Gli animali sono stati trasferiti agli inizi degli anni ’90.
Tra questi animali ce n’era uno in particolare, un orso bruno che veniva chiamato da tutti i livornesi Gigiballa. Questo nome derivava dal fatto che quest’orso ballasse veramente. Era l’attrazione dello zoo. I genitori portavano i figli a vedere lo “spettacolo” di questo animale e tutti ne ridevano.
La verità però era che l’orso “ballava” perché aveva male ad un dente. E, ballando, emetteva un urlo quasi angosciante, come richiesta d’aiuto.
Quest’orso è morto, all’età di 33 anni (età considerevole per un orso), nell’estate del 2007 nella riserva naturale dell’Orecchiella, in provincia di Lucca, dove era stato trasferito nel ’92.
Non voglio aggiungere alcun giudizio personale sulle persone che sapevano del malessere dell’orso ma non presero provvedimenti perché rimanesse un attrazione. Come disse qualcuno, “ai posteri l’ardua sentenza”.
Vi lascio però con la canzone che ha portato alla luce questa storia.


Bobo Rondelli
“Gigiballa”

La mia mamma mi portava a vedere Gigiballa,
era un orso che ballava perché un dente gli doleva.
E balla ancora Gigiballa!

E la gente accorreva per vedere Gigiballa.
E la gente applaudiva, e nessuno provvedeva.
E balla ancora Gigiballa!

News dal mondo #1

George Vera.
Probabilmente questo nome non vi dirà nulla. Neanche io lo avevo mai sentito fino a 2 minuti fa, quando ho letto che questo ragazzo di 25 anni e di 227 chilogrammi, detenuto in una prigione texana, teneva una pistola nascosta tra le sue maniglie dell’amore. Andava in giro per il carcere gasandosi con gli altri detenuti di poter sparare in qualunque momento.
Ha fatto l’errore di confessare il suo segreto ad un secondino ed ora, oltre all’accusa di vendita di cd falsi, s’è beccato un’accusa per detenzione illegale di arma da fuoco.
Non lo dico sarcasticamente, lo penso seriamente: un vero genio!

venerdì 31 luglio 2009

Art Session: Josh Keyes

Sezioni di un mondo immaginario, dove l'uomo sembra essersi estinto e la flora e la fauna si uniscono in un connubio perfetto. Se è troppo difficile da immaginare, date un'occhiata!
Josh Keyes

giovedì 30 luglio 2009

Storie brevi #1: Una notte

Ogni tanto mi diletto nello scrivere. Stasera ho buttato giù un raccontino senza pretese. Nulla di eccezionale. Anche un po' banale, per certi aspetti. Ma lo voglio condividere qui.

Una notte


Stanotte non riesco a prendere sonno.
Ho letto, ho ascoltato musica, ho persino provato con la camomilla. Niente. Gli occhi non ne vogliono sapere di chiudersi. E l’encefalo non ha intenzione di andare in stand-by almeno per le 4 ore che mancano al suono della sveglia. E va bene. Così sia.
Mi vesto, prendo le chiavi e salgo in macchina. È un freddo lunedì mattina. Forse anche io sono un po’ freddo. Ma non m’importa. Le cose vanno come è scritto che vadano. Me lo ripeto spesso, me ne faccio sempre una ragione. Dopo un po’ uno si abitua anche a farsi una ragione su tutto.
La strada scorre veloce, la macchina è illuminata ad intermittenza dai lampioni sopra la mia testa. Sento un rumore rapido e sordo da sotto le ruote. Riccio imprudente. Se ne farà una ragione, anche lui. Mi accendo una sigaretta e la butto prima della metà, mi sento così noiosamente apatico che non ho neanche voglia di fumare. Avete presente quei momenti in cui vi sembra che vi muoviate per inerzia? Che ogni cosa che fate sembra fatta controvoglia, anche respirare diventa una rottura di palle.
Devo alzare il riscaldamento per evitare di morire assiderato. Dicono sia uno dei febbrai più freddi degli ultimi 15 anni. E la mia 126 non è che sia proprio in formissima. Per quanto riguarda le funzioni primarie (vedi: accelerare, frenare) non posso lamentarmi, ma per ogni cosa in più (vedi: riscaldamento, clacson, sterzo) non raggiunge proprio i massimi livelli. Però ci sono affezionato. Me l’ha venduta, due anni fa, un vecchietto veramente amabile, una persona squisita. – Era di mio figlio – mi disse – poi un giorno il cancro se lo è portato via, ed io la patente non l’ho mai avuta. Ho sempre preferito i pedali! – Mi fece un prezzo miserabile. Ancora oggi mi verrebbe da andarlo a trovare e dargli dei soldi o fargli dei lavori. Dopo il pagamento mi offrì pure un caffè: davvero un’ottima persona.
Non sono uscito con l’intento di raggiungere un luogo preciso, stasera, ma ho imboccato una strada che conosco molto bene. E ora che sono qui posso già immaginare dove spegnerò il motore.
Infatti.
Questa piazza non è molto illuminata ed io mi metto nel punto più buio. Mi accendo una sigaretta e mi metto a fissare quella finestra. La luce è accesa, come immaginavo.
È tanto banale quanto inevitabile: i ricordi iniziano a sgorgare più che mai limpidi. Ogni parola, ogni gesto che questa piazza ha visto. Momenti che sono rimasti nella mia testa e in quella di tutti gli altri come attimi eternamente presenti. Quando vengo qui, per un attimo mi scordo cosa è successo e mi sembra di rivivere quelle situazione come se stessero accadendo davvero. Ognuno di noi era felice. Spensierati come bambini. Giocavamo a fare i finti sessantottini, i finti intellettuali.
Poi ecco che vedo l’ombra della sua testa avvicinarsi alla finestra. Vedo il braccio che si allunga. La finestra si apre. Io rimango fermo, consapevole della mia invisibilità. Ma sono così preso dal momento che mi dimentico completamente del puntino luminoso di colore rosso della mia sigaretta.
– Sei tu? – dice la voce alla finestra. Non rispondo, sperando che abbandoni le speranze torni dentro.
– Sei tu? – ripete.
– Perché ti sei affacciato? – domando, facendomi coraggio.
– Nessun motivo in particolare. Ho sentito il bisogno di guardare fuori.
– Mi hai sentito arrivare?
– No. Non sapevo che fossi lì. Però è successa una cosa curiosa: avvicinandomi alla finestra ho sentito come un attrazione ed una paura insieme. Sapevo che qualcosa mi aspettava fuori.
– Immagino che tu aspetti ancora le mie scuse.
– A dire il vero no. Non più. Sai cosa? Me ne sono fatto una ragione.
– So cosa intendi…
– Dici? Non credo, visto che sei venuto fin qui guidando.
– Hai ragione. Scusami.
– Poi, da quel giorno io c’ho pensato su parecchio. E sto iniziando a convincermi che non sia stata colpa tua. O comunque non solo colpa tua. Certe notti sogno di essere così fin da bambino. Sogno che l’incidente non è mai avvenuto. Che anche quando passavamo le giornate tutti insieme io ero già così.
– Lo so, non è la cosa migliore da dire. E io sono proprio l’ultimo a potertela dire, ma penso che sia già tutto scritto. Che sia andata così perché è così che doveva andare: non è colpa di nessuno.
– Te l’ho detto. Me ne sto iniziando a convincere. Diciamo che mi sento alleggerito.
– Per quanto suoni falso e ipocrita mi fa piacere.
– Vuoi salire a bere qualcosa?
– Dici sul serio?
– Sì.
Chiudo la macchina. Mi avvio al portone della palazzina. Mi giro un attimo per dare uno sguardo sulla piazza e rivedo quelle scene: noi, seduti ai tavolini di quel bar, a bere la nostra birra giornaliera, a ridere delle notizie dei giornali e a citare Fabrizio De André.
Salgo le scale. Arrivo alla curva dopo la quale troverò quella porta. Ne intravedo il primo angolo. E come vedo una delle due ruote capisco che lui è lì che mi aspetta. Non ce la faccio. Scappo. Riscendo le scale correndo come un pazzo. Salgo in macchina. Accendo e accelero più che posso. Trenta secondi dopo sto piangendo.
Credo che ormai per questa notte il sonno non arriverà. Girerò in macchina per altre due ore. E poi timbrerò il cartellino.

venerdì 24 luglio 2009

"Lombritticoetica (Storie morali)"

"Un lombrico stava attaccato all'amo. Un pesce lo vide.
- Adesso ti mangio - disse.
- Se mi mangi - disse il lombrico - verrai mangiato a tua volta.
Il pesce se ne fregò, lo mangiò e fu mangiato.

Un lombrico stava attaccato all'amo. Un pesce lo vide.
- Adesso ti mangio - disse.
- Se mi mangi - disse il lombrico - verrai mangiato a tua volta.
Il pesce riconoscente se ne andò e non mangiò mai più lombrichi.

Un lombrico stava attaccato all'amo. Un pesce lo vide.
- Adesso ti mangio - disse.
Il lombrico tacque.
Il pesce lo mangiò e fu mangiato.

Un lombrico stava attaccato all'amo. Un pesce lo vide.
- Oh come soffri - disse - posso fare qualcosa per te?
- Mangiami - supplicò il lombrico - poni fine alla mia agonia.
- No - disse il pesce - non voglio essere mangiato.

Un lombrico stava attaccato all'amo. Un pesce lo vide.
- Oh come soffri - disse - posso fare qualcosa per te?
- Potresti, ma se lo farai finirai mangiato.
- Ti mangerò ugualmente - disse il pesce - non posso vederti soffrire cosi.

Un lombrico che prima di diventare esca era stato un grande benefattore, stava attaccato all'amo quando passò di lì un pesce conosciuto in tutto il fiume per la sua malvagità.
I due si guardarono a lungo. Poi si rivolsero al pescatore:
- E lei, cosa fa lì sopra in panciolle, mentre qua sotto accadono eventi che comportano grandi scelte morali e precise responsabilità davanti all'opinione pubblica?
Il pescatore per tutta risposta ritirò la lenza con tutto l'armamentario, e se ne andò.
- Ecco - borbottò - uno viene qui per pescare e subito te la buttano in politica."
[Tratto da "L'ultima lacrima", Stefano Benni]

lunedì 29 giugno 2009

"I miei rapporti sono indescrivibili: non sono simili a niente di già esistente, e se assomigliano vuol dire che c’è un equivoco, ovvero che qualcuno chiama con lo stesso nome due cose che differiscono. Io so che due persone uguali non esistono, quindi adotto un peso e una misura per ogni persona che mi si para di fronte, rischiando la nevrosi, per distinguere soggetti che non in tutti i casi si accorgono di come e quanto per me i rapporti importino. Mi spiego: cerco di non rimanere da solo, perché se ciò accadesse m’incazzerei alquanto, a tal punto da prendere in mano una spada e affettare gente random finché non mi fermano, o finché gli esseri non si esauriscono. E tu credi che questa sia solo un’iperbole, un modo per riempire dei fogli di parole, però dovresti vedere cosa scrivo negli altri fogli, quelli che tengo nascosti dagli sguardi ignari di coloro che alla fine di questo pezzo penseranno che alla fine non è vero che il sottoscritto non ha bisogno degli altri. Vedete?, siete imprecisi. La differenza abissale fra “altri” e “tutti” non vi è chiara: ho bisogno di persone, ma molte meno dell’intera popolazione mondiale. Per questo posso permettermi di non interessarmi e di allontanare molte ragazze alle quali non ho niente da dire, che non sanno che “andare a letto” per me significa “andare a dormire”, e che non distinguono la toccante tensione dal crescente accumulo di stress fossile. Posso permettermi di sopportare lo stress emotivo quando c’è un motivo, invece di offrire un gesto votivo alla legge del taglione, al concetto variabile di merito, colpa e giustizia generalmente applicato anche su coloro a cui si vuole bene, non sapendo bene chi nel rapporto si abbia intenzione di tutelare. Posso permettermi di selezionare chi fare entrare, posso permettermi di svelare che io non ho porte, basta la volontà di venire vicino. Posso permettermi di passare del tempo da solo, salvo che quando uscirò dal sottosuolo nessuno capirà il mio nuovo idioma. Posso permettermi di annullarmi e di insidiarmi in una qualsiasi ragnatela di rapporti per aggiungere casistica alla mia enciclopedia di esempi, quando sono esente da proponimenti. Posso fare un sacco di cose, e questo è causato da ed è causa del fatto che le relazioni con gli altri mi risultano difficoltose. Bene, ed ora torno a casa. In stazione c’è una radio: per caso ascolto una canzone, considero che non riesce a descrivermi perché sono solito esigere un’attenzione che va oltre i discorsi. Buon pomeriggio a tutti."
[Uochi Toki, "I rapporti"]

Intervento correttivo

Due post fa ho scritto che mi sarei visto i Meganoidi sabato sera, al Metarock Festival.
Ora, dopo i Meganoidi avrebbero suonato i Sud Sound System... che, con tutto il rispetto, non reggo proprio! Quindi mi sono informato su quanto avrebbero suonato i Meganoidi... e dare 15 euro, che poi sarebbero stati "spartiti", per vederli suonare solo 45 minuti non mi è sembrato opportuno.
Aspetto che tornino da queste parti.
Saluti.
E allora ti ascolti questo artista o quest’altro, ti leggi le interviste di questo artista o di quest’altro e t’influenzano, ne trai degli spunti. Ma dicono cose che sono agli antipodi tra do loro.
E allora ti leggi i libri di questo scrittore o quest’altro, hanno punti di vista totalmente opposti. Però ti piacciono tutti e due. Però t’influenzano entrambi.
E poi lo stesso succede con i film.
E arrivi alla sera che ti sei puppato per tutto il giorno una serie di idee altrui che ti hanno influenzato seppur non ce ne fosse uno che dicesse una cosa uguale ad un altro. E allora pensi che sia un bene, forse. Che almeno ti apri la mente. Che il mondo è bello perché è vario. No?
E poi pensi che magari potresti smettere di sentire le opinioni altrui attraverso questi canali e fare tutto per conto tuo: scrivere per conto tuo, pensare per conto tuo, elaborare per conto tuo. Ma poi arrivi all’amara conclusione che sarebbe difficile elaborare senza esaminare le cose di quelli che hanno elaborato prima di te. E torniamo al punto di partenza. E non trovi una soluzione.
E poi ti dici che su tutti questi intrecci mentali che ti sei fatto faresti bene a buttarci giù due righe. E stai lì ad arrovellarti il cervello per trovare le parole, lo stile con cui buttare giù queste due righe. E scopri che lo stile che usi è lo stesso del libro che stai leggendo, etc.
Ma la cosa veramente triste è che poi pensi che pubblicherai tutto sul tuo blog. Perché la gente deve sapere. Perché la tua idea deve andare a far parte di quell’ammasso quotidiano di idee da cui uno trae gli spunti per i suoi pensierini serali.

venerdì 26 giugno 2009

Frankie, dopo 4 anni


Ok, lo ammetto. Mi confesso. Ascoltare i primi Club Dogo e Fibra (ci tengo a sottolineare “i primi” perché erano di gran lunga più apprezzabili di adesso) dirigendosi a vedere un live di Frankie Hi-NRG MC equivale più o meno a bestemmiare in una chiesa. Mi giustifico col fatto che volevo entrare nell’ottica dei quattro quarti e delle rime ed ho messo su la prima compilazione Hip-Hop che mi sono fatto apposta per la macchina.
Di concerti ne ho visti. Non tantissimi, ma ne ho visti e di solito non scrivo qualcosa per ogni concerto che vedo. Ma questa volta è diverso. Questa volta un insieme di fattori, di situazioni, di ricordi ed emozioni mi ha spinto a dover per forza buttare giù queste due righe.
Arrivo al Campo sportivo Abetone di Pisa che non c’è quasi nessuno. Pensavo che sarei arrivato tardi ed invece ho scoperto, in seguito, che le danze si aprivano dopo.
C’erano poche persone. Chi si beveva il suo birrino, chi socializzava per terra in cerchio.
In lontananza il palco, vuoto. Poco dopo il mio arrivo attaccano a suonare i Not4Wedding (incredibilmente Word non mi segna come errore il nome di questo gruppo!), quattro ragazzi di San Marino che fanno punk-rock. Ora, il punk-rock non è proprio il mio genere preferito, o almeno non più… ma, si sa, dal vivo si apprezza tutto! Apprezzabile l’autoironia del gruppo: ringraziavano per il calore un pubblico di 8 persone!
Chiusa la parentesi punk-rock ecco che si inizia con la vera e propria serata all’insegna del rap.
Secondo performer è Don Diegoh, accompagnato da DJ Herpes. Il pubblico triplica e ci avviciniamo al palco. Non ricordo il numero dei pezzi, quattro o cinque forse, ma non mi è dispiaciuto affatto. Non è facile seguire il testo di un pezzo rap dal vivo se non lo si conosce, ma ricordo qualche rima che non era male. Bassino, mingherlino… ma molto molto energico e per niente intimidito questo Don Diegoh.
Ed ecco che si sale ancora. Entrano gli Uochi Toki. DJ ed MC che fanno un rap che esce completamente da ogni canone. L’ho definito “Rap Futurista” parlando con un amico che era con me. Basi sostanzialmente elettroniche che sfociano nel noise, un rappato che, se può, se ne frega di metriche e rime ma che è molto, molto intelligente! Mi riesce difficile classificare, descrivere e catalogare questo duo fuori dall’ordinario e per questo non lo farò. Non credo piaccia neanche a loro essere catalogati. Consiglio però un ascolto.
Finito anche l’intervento degli Uochi Toki il pubblico inizia a farsi numeroso. Sappiamo perché siamo lì e chi stiamo aspettando.
Come ho premesso non sono solito dedicare così tanto tempo alla “recensione” di un concerto. Ma questa più che una recensione vuole essere una storia personale. Dettata da delle emozioni che ho provato. Specie in questa seconda parte.
Seppur il panorama musicale di cui mi nutro sia molto ampio il rap ne occupa una buona percentuale. Mi sono sempre dilettato nello scrivere testi. E ho sempre considerato Frankie Hi-NRG come una sorta di mentore. Testi spessi e taglienti, metriche perfette. Anche se ora non lo ascolto più come una volta ha comunque segnato parte della mia adolescenza, vi sembrerà esagerato ma è così. Dal mio punto di vista non ero a vedere un concerto qualunque. Tutta questa eccitazione è data anche dal fatto che l’ho visto per la prima volta quattro anni fa. Ed ero in compagnia dello stesso amico con cui ero ieri sera (ed anche un terzo, che in quattro anni ha cambiato totalmente musica e stile di vita). Quella sera di quattro anni fa ero così gasato che ho saltato tutta la sera come un deficiente. Avevo 16 anni, ero piccolo e stupido. E quel continuo saltare mi ha lasciato un dolore al piede sinistro che in quattro anni non ho mai fatto controllare. E anche se detta così sembra un’enorme vaccata la ritengo una cosa importante per me. È come se ci fosse una specie di continuità tra quel concerto e quello di ieri sera. Eppure quante cose son cambiate in quattro anni!!!
Bene, dette tutte queste cose che non interessavano praticamente a nessuno passiamo ad una descrizione del concerto.
È innegabile che Frankie sia invecchiato. Non me ne voglia… ma 40 anni non sono pochi. Sarò sincero: le ultime cose non mi entusiasmano. Se prendo il suo album del ’97, “La Morte dei Miracoli” (che, a parer mio è forse il più bell’album della musica rap italiana sotto tutti i punti di vista!) e lo confronto con gli ultimi pezzi… bè, il paragone non regge.
Premettendomi queste cose vi confesso che le mie aspettative per questo concerto non erano altissime.
Mi ha completamente fregato!
Un live dinamico, energico (lo dicono quelle tre lettere nel suo nome, no?). Impeccabile. Mai moscio, mai spento. E qui mi viene da citare lo stesso Frankie che in un pezzo de “La Morte dei Miracoli” affermava “Tagliato e looppato storto come un ulivo secolare che, nonostante gli anni, fa saltare!”. E di anni ne sono passati dodici da quell’affermazione, ma lui fa saltare ancora!
Esilaranti i due monologhi che ha fatto sull’attuale situazione politica italiana: “Spero abbiate seguito le cronache politiche del paese, ultimament. Si distinguono da tutte le altre cronache perché hanno le tette in copertina.” O qualcosa del genere…
C’è da dirlo. È inquietante, angosciante, come canzoni di sei, dodici, sedici anni fa… siano ancora attualissime! “Quelli che Benpensano”, canzone che conosce praticamente chiunque, è una canzone eterna. Ed è questo che fa paura.
“Sono intorno a me, ma non parlano con me. Sono come me, ma si sentono meglio.”
L’abbiamo urlato tutti ieri sera.
Quest’anno il Metarock Festival mi ha regalato Frankie e, sabato sera, i Meganoidi (questi però non li regala, si pagano) che, per chi non li seguisse, non fanno più lo ska che facevano un tempo: hanno cambiato totalmente registro. Ai Meganoidi seguiranno i Sud Sound System… e li mi sparerò! Scusate, ma non li reggo proprio!

lunedì 8 giugno 2009

Siamo riusciti a mandarlo anche in Europa! Com'è possibile? Inizio a pensare, come dice un mio amico, che davvero le schede siano già tutte belle e pronte. Non voglio crederci ad una cosa così... ma mi costringono!!!
Ma basta con questi discorsi scontati.
Piuttosto vorrei spendere due parole su una cosa che è davvero difficile da spiegare a parole. Ho passato una settimana a L’Aquila, come volontario tra i terremotati. Come ho premesso non è facile descrivere lo scenario che ci si trova davanti.
Persone che hanno perso tutto; persone che non hanno perso niente ma che sfruttano comunque le tende e il cibo gratis (giustificabili? Forse); persone che si chiedono perché, dopo due mesi, lo stato non sta facendo nulla, perché il G8 ha acquisito la priorità sulla ricostruzione etc.
L’Aquila è una città fantasma. Non ho potuto vederla tutta, chiaramente, ma quello che ho visto mi è bastato. Ogni casa vuota, ogni porta chiusa, ogni finestra serrata. Sono rimasti solo branchi di cani che vagano, abbaiano e ululano.
Purtroppo le parole sono gabbie, recinti nei quali non entra tutto quello che si può provare osservando uno scenario del genere. Ci si trova davanti a qualcosa di così meravigliosamente spaventoso che non esistono concetti per poterlo spiegare.
Forse sto sfiorando il melenso ed il banale, ma posso garantire che è così.

lunedì 11 maggio 2009

domenica 10 maggio 2009

Questi NON sono fotomontaggi.






Quello che mi rode è che se il tizio qui sopra fa questo gesto un po' "passato di moda" forse la sua filosofia di vita sarà la stessa di quello che questo gesto lo ha fatto prima di lui: "Che parlino bene o che parlino male, basta che parlino di me." (o una cosa del genere)... quindi sto solo facendo quel gioco, il suo gioco.
Inoltre, copio e incollo da Wikipedia: Il saluto romano è vietato in Italia dalla legge n. 645 del 20 giugno 1952 (Legge Scelba), recentemente aggiornata con la Legge n. 205 25 giugno 1993 (Legge Mancino), ma solo se compiuto con intento di "rivolgere la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o a compiere manifestazioni esteriori di carattere fascista" e può essere punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire 400.000 a lire 1.000.000.

mercoledì 6 maggio 2009

Perché è sempre più facile procedere per luoghi comuni.
Pensare che è meglio il polline della guerra.
Che anche la droga è meglio della guerra.
Per lo meno la droga è una morte volontaria. La guerra no, solitamente.
Ed è quando inizi a pensare che la lontananza sia solo quella in chilometri che sei veramente fregato, perché quasi continui a sperare.

martedì 5 maggio 2009

E verrà il giorno,
perché quel giorno verrà,
in cui tutti indosseremo
quelle belle parrucche sfarzose e,
puntando
il dito
contro chi ci chiese consiglio,
canteremo la bella canzone
che dice “Te l’avevo detto! Te l’avevo detto!”.
Grideremo più forte dei loro conati.
Canteremo più orgogliosamente dei loro respiri.
Volteggeremo più graziosamente delle loro agonie.
Danzeremo più velocemente dei loro cadaveri.

venerdì 1 maggio 2009

Me ne sbatto di che giorno è oggi: l'importante è che la giornata inizi con "La voce del padrone" del Battiatone nazionale!
Mi vengono a prendere tra mezz'ora.
Saluti.
Volevamo spaccare il mondo.
Ci siamo limitati a distruggere i sedili sugli autobus.

giovedì 30 aprile 2009

martedì 14 aprile 2009

giovedì 9 aprile 2009

Un minuto di rumore.

È notizia di questi giorni la morte di centinaia di persone (quasi 300, stando alle notizie) a causa delle scosse sismiche in Abruzzo. L’Italia è concentrata su questo avvenimento: notiziari che ci aggiornano ora dopo ora; notizie in prima pagina sui quotidiani etc.
Delle auto-bomba sentiamo al massimo l’eco, ma stavolta a morire sono i nostri vicini di casa e la cosa ci turba.
Su Facebook sono stati creati tantissimi gruppi in segno di… solidarietà? Alcuni esempi: “x le vittime del terremoto in abruzzo…”; oppure “Tutti quelli di Facebook vicini alle famiglie del terremoto in Abruzzo” (che suona anche male come frase, per altro… “le famiglie del terremoto”) e altre cose del genere. Su Messenger invece la solidarietà e l’affetto verso queste persone lo si può dimostrare inserendo comodamente l’emoticon di una rosa nel proprio nickname: in due giorni Messenger è diventato un vivaio.
È possibile che adesso qualcuno, leggendo questa cosa che sto scrivendo, mi dia dell’insensibile, del cinico. Penserete che sono composto per lo più di materia fecale.
Chissà, probabilmente lo sono… probabilmente sono io che sbaglio a pensare che iscriversi a uno di quei gruppi su Facebook o aggiungere la sigla “(F)” davanti al proprio nickname sia un gesto piuttosto… squallido? Probabilmente sbaglio dicendo che sono falsi pietismi. Sicuramente sbaglio dicendo che tutte quelle rose non ricostruiranno nemmeno una tegola all’Aquila.
Ricordate il massacro dei monaci buddisti in Birmania di qualche tempo fa? «In segno di solidarietà indossate qualcosa di rosso» ci dissero. Perfetto: nulla in contrario; è giusto riconoscere che certi atti sono profondamente sbagliati, mostrare indignazione verso certi atteggiamenti. È giusto schierarsi contro il massacro di manifestanti innocenti e esprimerlo mettendosi qualcosa di rosso.
Ma diciamoci la verità. Non bisognerebbe vestirsi di rosso ogni giorno?
Ho cercato alcuni dati su internet:
24.000 morti al giorno a causa della fame (di cui 16.000 sono bambini);
una statistica del 2004 diceva che ogni giorno, solo in Italia, vengono stuprate sette donne (oggi sappiamo, inoltre, che nel 90% dei casi lo stupratore è un italiano - anche conoscente della vittima - e non necessariamente un rumeno);
i ragazzi soldato (minori di 18 anni a cui viene data un’arma e affidato il compito di uccidere) sono 300.000;
il numero delle vittime del comunismo cinese non ci è dato di saperlo.
La lista sarebbe infinita mettendoci anche mafia, conflitti vari (di cui non si sente mai parlare), schiavitù, sfruttamento e chi più ne ha più ne metta.
Perché non ci viene detto di vestirsi sempre di rosso? Perché ci accorgiamo delle disgrazie solo in casi di “emergenza”?
Vogliamo metterci in mezzo anche i tipici “minuti di silenzio”?
Non so se ridere o piangere quando, prima di una partita, stadi interi si fermano per quel minutino prima di iniziare a urlare cori e sventolare bandiere.
Ricordo quei fantastici minuti di silenzio alla fine del 2004, per le vittime dello tsunami dell’Oceano Indiano. A mezzanotte del 31 Dicembre tutti abbiamo abbassato le teste e abbiamo fissato il pavimento, con una coscienziosità indicibile e siamo stati in silenzio per rispetto ed amore verso le centinaia di migliaia di morti. A mezzanotte ed un minuto brindavamo all’anno nuovo e ci divertivamo come pazzi.
La verità è che quei silenzi servono a mascherare ipocrisia.
La verità è che quelle rose sono già appassite.

domenica 5 aprile 2009

"La gente è strana: si infastidisce sempre per cose banali, e poi dei problemi gravi come il totale spreco della propria esistenza, sembra accorgersene a stento."
Diceva così Charles Bukowski (uno dei miei scrittori preferiti) e io mi sono fatto “portavoce” di questa affermazione. Ma quanto sono coerente? Non sono forse anch’io una di quelle persone che spreca la propria esistenza? Perché continuo a distrarmi su cosette di poco conto, perché continuo a buttare via pomeriggi per totali futilità e perdo di vista quella che dovrebbe essere la mia strada?

[tratto da "Santa Maradona", Marco Ponti]

sabato 4 aprile 2009

Art session: Zeninho

Stile inconfondibile, maestria nell’uso dei colori e composizioni di forte impatto.
Per le sue foto, ciccate QUI.


(link alla foto)


(link alla foto)

giovedì 2 aprile 2009

"Tizio è un farabutto"

"Il problema è linguistico.
La colpa è di chi dice un po'. La colpa di tutto, intendo. Ci ho pensato a lungo e non ho più dubbi.
Un po' è usatissimo, da chiunque, comunque e dovunque. Fateci caso.
Dietro l'apparenza di moderazione che sembrerebbe esprimere addirittura equilibrio e saggezza, nasconde invece mediocrità e qualunquismo.
È triste come l'insopportabile e inqualificabile, oltre che inesistente in natura, "attimino". Diminutivi dell'impossibile accompagnati da sorrisi conciliatori.
Sono stanco di conciliare.
Esempio: si costruisce un orrendo caseggiato in un centro storico? Si dirà "è un po' fuori luogo". Ma non è così: fa schifo, è brutto, non lo voglio, fa cagare!
Il tuo compagno di banco non riesce nemmeno a coniugare i verbi in italiano? Non è un po' confuso: è un ignorante. Forse un idiota. Sarà il tempo a dircelo.
Guidi dopo esserti fatto le canne o impasticcato? Non sei un po' imprudente: sei uno stronzo e un potenziale assassino.
Come si vede, la colpa è solo e sempre di un po'.
E così se qualcuno dichiara guerra per esportare la democrazia, si dirà che è un po' un controsenso.
E invece è una vergogna, un'infamia, una insopportabile ingiustizia che ci si ritorcerà contro.
Un tizio viene indagato per un milione di reati con prove schiaccianti e inconfutabili? Si troverà che i giudici sono un un po' intransigenti, un po' comunisti o un po' fascisti o un po' quel che volete. Ma non è così: più semplicemente il tizio è un farabutto.
E se un ministro, un presidente, un politico, un cardinale, un imperatore, un monarca dicesse che i negri sono tutti ladri, i musulmani incivili e gli arabi perlopiù terroristi, troverete facilmente chi osserverà che le espressioni usate sono un po' colorite. Non sono colorite. Trattasi banalmente di fascista e razzista.
Le parole sono parole e non sono un po' parole. I principi sono principi e non sono un po' principi.
Liberiamoci di un po' totalmente e non in parte. Liberiamo le parole e adoperiamole al meglio. Qualunque vicenda ci apparirà più semplice e chiara.
Starò diventando vecchio e di nuovo intransigente come un adolescente? Può darsi.
Ma mi sento meglio. Non un po' meglio. Molto meglio."
[Fabio Fazio, tratto da Smemoranda '07]

venerdì 27 marzo 2009

lunedì 23 marzo 2009

È inutile stare qui a descrivere la poeticità di Fabrizio De André, si rischia di cadere in squallidi luoghi comuni, cosa che, per uno come il Faber (sì, mi permetto certe confidenze), preferirei evitare. Voglio solo far notare quanto questa canzone sia meravigliosamente evocativa.
Personalmente adoro la seconda strofa, quella dei quattro pensionati, per intendersi.
Non aggiungo altro.


Artista: Fabrizio De André
Titolo: La Città Vecchia
Album: Canzoni

Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi,
ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi,
una bimba canta la canzone antica della donnaccia,
quel che ancor non sai tu lo imparerai solo qui tra le mie braccia.
E se alla sua età le difetterà la competenza
presto affinerà le capacità con l'esperienza.
Dove sono andati i tempi di una volta per Giunone,
quando ci voleva per fare il mestiere anche un po' di vocazione?

Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino,
quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino.
Li troverai là, col tempo che fa estate e inverno
a stratracannare a stramaledir le donne, il tempo ed il governo.
Loro cercan là la felicità, dentro a un bicchiere,
per dimenticare d'esser stati presi per il sedere.
Ci sarà allegria anche in agonia col vino forte,
porteran sul viso l'ombra di un sorriso tra le braccia della morte.

Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone?
Forse quella che sola ti può dare una lezione.
Quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie,
quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie.
Tu la cercherai, tu la invocherai più di una notte,
ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette,
quando incasserai delapiderai mezza pensione
diecimila lire per sentirti dire "micio bello” e “bamboccione".

Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli,
in quell'aria spessa carica di sale, gonfia di odori,
lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano,
quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.
Se tu penserai, se giudicherai da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese.
Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo,
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo!

venerdì 20 marzo 2009

Istantanea #1

Nella sala pasto (si può dire?) del McDonald’s della stazione di Pisa, alle pareti sono appesi dei dipinti di Balla, Boccioni e di una tipa che dipinge sostanzialmente fiori.
Hanno pulito la fontana della piazza fuori dalla stazione, ma ancora non hanno riattivato i getti d’acqua.

martedì 17 marzo 2009

Un'inutile pagina di diario.


Una settimana.
Esattamente una settimana fa è iniziato il mio periodo di clausura. Mi sono dato all’ascetismo più puro. In realtà non è stata proprio una scelta mia. Mi sono ammalato e, a differenza di ogni altra volta, stavolta sono dovuto stare a casa per un periodo così lungo… io che da bimbetto andavo a giocare all’aperto nonostante la febbre!
Domani la mia vita sociale riprenderà il suo corso. Sveglia alle 6:30 per poi prendere il treno delle 7:29 per Firenze S.M.N. (che non è un anagramma di “msn” ma l’acronimo di Santa Maria Novella. Era doverosa questa precisazione?!?). L’unica volta, tra lo scorso martedì e questo, che ho messo la testa fuori di casa è stata domenica mattina, e ho solo peggiorato le mie condizioni.
Ho approfittato di questo giorni di segregazione per riguardarmi la serie completa di Trigun (mi hanno regalato il cofanetto per i 18! Teneri!), e l’ho trovato ancora un volta super galvanizzante! Quanto mi piace quell’anime!
Ora sono più o meno di nuovo in forma. e non interesserà a nessuno, ma mi andava di scriverlo sul blog.
Il blog è mio e ci faccio quello che voglio io. Gnè.

lunedì 16 marzo 2009

"La scimmia pensa, la scimmia fa."

"Il filosofo danese Søren Kierkegaard definisce l’angoscia come la consapevolezza di quel che occorrerebbe fare per dimostrare di essere liberi, anche a costo di autodistruggersi. Il suo esempio è Adamo nel giardino dell’Eden, felice e soddisfatto fino a quando Dio non gli mostra l’albero della conoscenza del bene e del male, e gli dice: “Non mangiare questo frutto”. Da quel momento in poi Adamo non è più libero. C’è una regola che può infrangere, e deve infrangerla, per dimostrare la sua libertà, anche se ciò lo distruggerà. Kierkegaard dice che nell’attimo in cui ci viene proibito di fare una cosa, la faremo. È inevitabile.
La scimmia pensa, la scimmia fa.
Secondo Kierkegaard, la persona che consente alla legge – che dice che il possibile non è possibile perché illegale – di controllare la sua esistenza, conduce una vita non autentica.
A Portland, nell’Oregon, c’è qualcuno che riempie le palline da tennis di teste di fiammiferi e poi le richiude con cura. Lascia le palline per la strada in attesa che qualcuno le trovi e le getti o ci dia un calcio facendole esplodere. Un uomo ci ha già rimesso un piede; un cane la testa.
Adesso i graffitari usano delle creme all’acido nitrico per scrivere sui finestrini di auto e vetrine di negozi. All’istituto di periferia Tigard High School, un adolescente non identificato porta le proprie feci e ci impiastra i muri dei bagni dei ragazzi. Nella scuola è noto con il nome di “Unamerder”. Nessuno deve parlarne, per paura che si verifichino fenomeni di emulazione.
Come direbbe Kierkegaard, ogni volta che ci accorgiamo che una cosa è possibile, la facciamo accadere. La rendiamo inevitabile. Fino a quando Stephen King non descrisse degli sfigati delle scuole superiori che assassinavano gruppi di loro compagni non c’erano mai state sparatorie scolastiche. Ma davvero furono Carrie e Ossessione a renderlo inevitabile?
Milioni di noi hanno pagato per vedere l’Empire State Building distrutto in Independence Day. Adesso il dipartimento di Difesa americano ha ingaggiato i migliori creativi di Hollywood per immaginare scenari terroristici, e tra questi anche il regista David Fincher, che rase al suolo i grattacieli di Century City in Fight Club. Così potremo essere preparati.
Per colpa di Ted Kaczynski, meglio noto come “Unabomber”, negli Stati Uniti non si può più spedire un pacchetto senza rivolgersi direttamente ad un impiegato dell’ufficio postale. Per colpa di quelli che gettavano palle da bowling sulle autostrade abbiamo le recinzioni sui cavalcavia.
Tutta questa reazione, come se potessimo difenderci da ogni cosa.
[…]
Quel che ci attende è un milione di ragioni per non vivere la nostra vita. Puoi negare la tua possibilità di successo e scaricare la colpa su qualcosa. Puoi combattere contro tutto… Margaret Thatcher, i ricchi possidenti, l’impulso di aprire il portello durante il volo… tutto ciò che sembra frustrarti. Puoi vivere la vita non autentica di cui parla Kierkegaard. Oppure fare quello che egli definiva il salto della fede, con il quale smetti di vivere in relazione alle circostanze ed inizi a vivere in vista di quel che vorresti essere.
Quel che ci attende è un milione di nuove ragioni per andare avanti.
Quel che ci spegne è il romanzo trasgressivo catartico. Film come Thelma e Louise o libri come I Sabotatori di Edward Abbey, il pubblico oggi è meno propenso a ridere e comprenderli.
Oggi, il nostro sforzo è quello di fingere di non essere i peggiori nemici di noi stessi."
[tratto da:
"La scimmia pensa, la scimmia fa",
Chuck Palahniuk]

Art session: Aled Lewis




Semplicemente GE-NIA-LE!
(sopra alcune immagini passateci col puntatore...)
ALED LEWIS

domenica 15 marzo 2009

Fleabass


Suppongo tutti conoscano i Red Hot Chili Peppers, almeno solo per sentito dire! Suppongo inoltre che quelli che li ascoltano anche solo un po’ sappiano che a far parte dei Red Hot c’è anche Flea, al secolo Michael Peter Balzary.
Membro, insieme a Anthony Kiedis, più “antico” del gruppo, presente nella formazione della band fin dall’inizio, Flea è uno dei bassisti più virtuosi (e sicuramente affermati) della scena rock contemporanea.
In quanto pseudo-bassista, seppur non sia mai stato un vero appassionato dei Red Hot (fatta eccezione per alcuni pezzi direi ormai storici), ho sempre guardato con grande ammirazione a questo musicista piuttosto fuori di testa ma pur sempre dotato di un talento mostruoso, basti ricordare le rocambolesche slappate dei primi album!
Girando un po’ sul web ti scopro che questo simpatico personaggio ha creato una sua linea di bassi, disponibili in 4 colori. Il prezzo del singolo pezzo va sui 500 $. Non sarebbe male poterne imbracciare uno qualche volta…
Sì, lo so. Molti staranno pensando che non è certo né il primo né l’ultimo a creare una sua linea personale di bassi… ma io ho trovato la sua e ho postato quella! Eheh!

Ecco il link al sito: FLEABASS.COM

venerdì 13 marzo 2009

Dopo un periodo di assenza, causa inusufruibilità (esiste il termine?) del mio pc, rieccomi a scrivere su questo blog. E come ogni blogger che si rispetti, non so che scrivere! Eppure in un periodo come questo ce ne sarebbero di cose da scrivere. Cosa sta succedendo? Guardiamoci intorno…
Esco da un periodo di malattia e in questi giorni sono stato sul divano a guardare più tv di quanta non ne abbia mai vista negli ultimi 5 anni! Ho visto tanta, tantissima frivolezza, futilità. Mi sono chiesto se è questo che vogliamo vedere. Sono arrivato alla conclusione che se i media propongono certe cose al loro pubblico, vuol dire che il pubblico vuole quello.
Ve l’avevo detto che non sapevo proprio cosa scrivere! Ho scritto la prima cosa che m’è venuta in mente… sfiorando la pateticità del luogo comune!
Saluti.

Date un'occhiata a QUESTO video, e prestate orecchio alle parole...

venerdì 13 febbraio 2009

Lascio che le canzoni parlino per me #1: Crescere...

Artista: Ghemon Scienz
Titolo: Grande
Album: La Rivincita Dei Buoni


Porto la sveglia indietro al punto di partenza.
Dio! Com'è difficile spiegarsi quando scrivere è un'urgenza, quando i ricordi sono troppi e il blues attraversa la mia penna e sul mio foglio si riversa a fiotti caldi.
Faccio “Ffffff” per asciugarli come fossero candele sulla torta dei miei diciott’anni.
Sento i pugni che battono alla mia porta e che mi cercano stanotte e sì, ogni nocca ha i suoi calli.
Gli amici hanno sorrisi contraffatti e pellicce per coprire i misfatti e camuffarli al contatto coi miei punti tattili; e artigli mai retrattili e mosse con cui possono distrarti.
Se t'hanno detto che crescere è confrontarsi, gli stessi non sapranno confortarti.
Quelli per cui crescere è un numero di targa da scambiarsi coperto da una polizza che risarcisce i danni.
Banalità che qualcuno ti mette per priorità formali, la verità è che sono strumentali e che fidarsi troppo è come bendarsi gli occhi con le tue stesse mani.
E pare che la risposta più banale sia proprio quella chiave.
Pare che nonostante le intenzioni, stringendo e tirando le conclusioni, si cresce con le delusioni


Se c’è una cosa che ho imparato è che va rifatto il quadro. Se c'è una teoria, va rivista.
E più che l'occasione a fare l'uomo ladro, è l'ambizione a farlo opportunista.
Ed ogni volta che ho gridato fino a finire il fiato, pianto quasi fino a non vedere, ho capito che si cresce con le delusioni, e non c'è tanto in più da sapere.


Adesso la mia intimità è lo spazio che blindo, la privacy è il valore che scorto.
Fornace d'umori che scottano. Questo riflusso dei miei succhi è il ricordo di quanto ho concesso troppo e ho dovuto pagarne lo scotto.
Scoppio!
Questo pezzo è per mio padre ed ogni volta che ripete, gridando, che non l'ascolto, per ogni amico che ho perso, e lui l'aveva detto, che un uomo non lo fanno dei peli sul petto.
È un argomento serio, perché ogni amico se deve muovere un dito guarda caso alza il medio.
E a trovarne qualcuno sincero, e contarli su una mano fai fatica ad arrivare al medio.
Perché ogni donna è così uguale alle altre, così brava a darti gli occhi e di contro a mischiare le carte.
E io non voglio più rischiare, e prima di avere un bacio e un abbraccio devo prima guardarmi alle spalle.
Se oggi il sole fa Dicembre un po' più tiepido, amo le tue guance e le mie labbra che si cercano!
C'è un sogno che si avvera e sto vivendomelo, ma perché ho così paura di godermelo?
E pare che la risposta più banale sia proprio quella chiave.
Pare che nonostante le intenzioni, stringendo e tirando le conclusioni, si cresce con le delusioni


Se c’è una cosa che ho imparato è che va rifatto il quadro. Se c'è una teoria, va rivista.
E più che l'occasione a fare l'uomo ladro, è l'ambizione a farlo opportunista.
Ed ogni volta che ho gridato fino a finire il fiato, pianto quasi fino a non vedere, ho capito che si cresce con le delusioni, e non c'è tanto in più da sapere.


Sto diventando grande! Grande! Grande!
Sto diventando grande! Grande! Grande!