sabato 23 gennaio 2010

Vertov Rulez

Vi ripropongo qui di seguito una tesina che ho fatto per un esame che devo dare fra pochi giorni, sperando che, se volete leggerla, possiate trovarla di vostro interesse.

“The Man with a Movie Camera”
La nascita delle sinfonie urbane; il capolavoro di Dziga Vertov con le musiche dei Cinematic Orchestra


Le sinfonie urbane

Nel 1900, con la nascita delle Avanguardie Storiche, cambiano il modo e la volontà di vedere e, conseguentemente, raccontare la vita quotidiana. Cambia il metodo di analisi del mondo circostante. Questo grazie anche all’affermarsi di nuove tecnologie e nuovi media quali televisione e radio. Un altro grande mezzo di comunicazione che si sviluppa particolarmente in questo periodo è il cinema. Il cinema, o meglio, i primi registi cercano un distacco dal modo di fare arte dell’epoca per scoprire nuovi metodi espressivi, nuove forme di comunicazione. Questo tipo di nuova espressione era possibile anche grazie a tutte quelle tecniche e scelte stilistiche proprie esclusivamente dell’arte cinematografica: la ripresa della scena da angolazioni particolari; il movimento della macchina da presa; la scelta del taglio della pellicola e del ritmo nella fase del montaggio etc.
È proprio il cinema che dimostra di essere all’altezza di rappresentare la modernità, la velocità e la frenetica attività delle metropoli: nascono così le sinfonie urbane.
Le grandi città diventano i luoghi dove, grazie alla cinepresa, si possono creare delle vere e proprie composizioni ritmiche di immagini.
Gli artisti del tempo si convincono che la quotidianità vada raccontata in modo distaccato, oggettivo, vada documentata; è come se i registi fossero delle “figure super partes”, non mettono alcunché di personale nelle loro documentazioni, ma analizzano in modo imparziale la realtà che si presenta loro davanti.
Il primo esempio di sinfonia urbana, quasi la “cerimonia inaugurale” di tutto il filone, è Berlino, sinfonia di una grande città (Berlin, die Symphonie einer Grosstadt); un film del 1927, di Walter Ruttman. È un documentario che mostra semplicemente una giornata feriale nella città tedesca. Le particolarità sono, come già detto, i “virtuosismi tecnici” con il quale queste immagini vengono narrate.


Dziga Vertov e il cineocchio

Denis Arkadievitch Kaufaman nasce in Polonia nel 1896, da una famiglia medio borghese. Studia al conservatorio di Bialystok, sua città natale. Trasferitosi in Russia, a causa dell’invasione tedesca, studia medicina, ma nel 1917 inizia ad interessarsi al cinema e al movimento futurista; passioni che lo porteranno a decidere di cambiare nome e scegliere lo pseudonimo Dziga Vertov. Nei primi anni della sua carriera nel mondo del cinematografo lavora per La settimana cinematografica, un cinegiornale dai contenuti propagandistici. Negli anni ’20 realizza il film che sarà il manifesto del movimento Kinoki, di cui faceva parte: Il cineocchio (Kinoglaz), film dove il regista mette in pratica quelli che erano i principi delle sinfonie urbane, quindi la pura realtà priva di qualsiasi spettacolarizzazione. Così era e doveva essere il cine occhio: uno strumento assolutamente obiettivo che servisse per la propagando dello stato sovietico.
L’apice della carriera di Vertov arriva nel 1929 con la realizzazione de L’uomo con la macchina da presa (Celovek s Kinoapparatom). In seguito a questo capolavoro l’opera del regista subisce un continuo declino. Gira altre pellicole di stampo documentaristico ma non raggiunge mai livelli più alti del film del ’29.
Dziga Vertov muore nel 1954 a causa di un cancro.


The man with a movie camera

Come già accennato L’uomo con la macchina da presa è il film che segna il punto più alto della carriera di Dziga Vertov. Datato 1929, è l’opera maggiormente rappresentativa del regista; il capolavoro della produzione vertoviana e sicuramente una perla del cinema sovietico. Nella pellicola, della durata di poco più di un’ora, il regista si mette quasi a nudo, mostrando il suo modus operandi e le sue stesse idee. Vertov ha di se stesso l’immagine che impressiona sulla pellicola: quella di un uomo con un occhio in più: la sua macchina da presa, il “cineocchio” che nel film prende forma grazie alla sovrapposizione dell’immagine di un occhio e di quella di un obiettivo. Il film non ha alcuna didascalia, a differenza del resto dei film muti, e non ha un soggetto in particolare se non proprio il concetto di “fare cinema”. Le inquadrature, le scelte stilistiche e i ritmi di montaggio fanno sì che questo film venga classificato nel filone delle sinfonie urbane. Le immagini sono sempre le solite: vita cittadina, operai sul lavoro, strade gremite di gente, tram pubblici in movimento etc., ma, a differenza delle pellicole precedenti di Vertov, stavolta va scemando la componente propagandistica e prende piede il vero e proprio occhio che osserva, registra e documenta. Infatti l’attore protagonista, se così lo si può definire, del film è un cineoperatore che riprende usuali scene di vita nella città di Odessa, in una giornata lavorativa.
Il film inizia con le immagini di una sala cinematografica dove verrà proiettato il film stesso. Si abbassano le luci, l’orchestra inizia a suonare e sul telo bianco inizia il film. Le immagini sono quelle dei momenti più comuni della quotidianità: lavoro, sport, svago etc. Ma il regista inserisce nel film anche dei richiami ad alcuni momenti che segnano le tappe nella vita dell’uomo: la nascita, il matrimonio, il divorzio, la malattia e anche la morte, riprendendo lo svolgimento di una marcia funebre. Più volte viene mostrata la vera e propria fase di montaggio, curata da Yelizaveta Svilova (moglie di Vertov). Prima del finale del film vediamo addirittura (grazie ad un gioco di stop motion) la cinepresa che si anima da sola e inizia a riprendere di sua spontanea volontà, come fosse un essere pensante.
Sul lato tecnico questo film è un concentrato di ogni tipo di sperimentazione possibile: sovrapposizioni di immagini, carrellate, riprese oblique, addirittura variazioni della velocità della pellicola fino al fermo immagine completo.
Il film, come già detto, era muto e Vertov non ha mai scelto né indicato delle musiche per fare da colonna sonora, perciò dagli anni ’30 in poi sono stati svariati i musicisti che hanno composto le musiche da accompagnamento alle proiezioni, tra cui Pierre Henry e più recentemente, nel 2001, Michael Nyman. Nello stesso anno questo compito è stato assegnato agli inglesi The Cinematic Orchestra.
Il gruppo si forma alla fine degli anni ’90 per mano di Jason Swinscoe. Fin dall’inizio la musica dei Cinematic Orchestra abbraccia più generi; partendo da una base puramente jazz arriva a contaminarsi con l’elettronica, il trip-hop, l’acid e qualche leggero sprazzo di noise.
L’album, che farà da colonna sonora per il film di Vertov, viene registrato nel 2002 ed esce nella metà del 2003 per l’etichetta indipendente Ninja Tune. La durata è leggermente inferiore a quella del film per il semplice fatto che il sincronismo dell’audio con il video inizia nel momento in cui il proiezionista fa partire la pellicola e l’orchestra sotto al telo bianco inizia a suonare.
Il titolo dell’album non poteva che essere quello del film, ovviamente in inglese, The man with the movie camera.
La particolarità di questa unione è la palese “differenza generazionale”, ma la bravura dei Cinematic Orchestra è stata proprio quella di saper adattare ad un film di oltre settant’anni prima una composizione musicale assolutamente moderna, verrebbe quasi da dire “all’avanguardia”. La musica segue perfettamente le immagini del film e, quando possibile, anche il ritmo di montaggio. Sono molto riusciti i richiami ad un jazz più classico, inseriti nelle parti del film più legate ai passatempi ed al divertimento.
L’esperimento del gruppo inglese è stato, se vogliamo, quello di fare del vjing al contrario: anziché montare e mixare dei video al ritmo di una base musicale, è stata creata la composizione sonora sulle immagini della pellicola. Il risultato che ci troviamo davanti è un’opera multimediale che si estende nel tempo e, perché no, nello spazio: dalla Russia degli anni ’30 all’Inghilterra del ventunesimo secolo.

Recensione #2: Avatar

Ieri sera mi sono andato a vedere "Avatar" in 3D. Siccome tutto quello che ho da dire riguardo al film lo ha già detto un altro mio esimio collega, vi rimando direttamente alla sua di recensione, precisando che sottoscrivo tutto! L'unica cosa che posso aggiungere è che da quanto ero lontano dallo schermo è come se avessi visto una puntata dei puffi!

La recensione è QUI

Distinti saluti

lunedì 18 gennaio 2010

Sono malato: mi piace pensare che la gente visiti il mio blog (che poi ho le statistiche, quindi so quante visite ricevo al giorno di media) e la mia malattia sta nel fatto di pensare spesso a dover aggiornare questo spazio virtuale postando cose, le più varie! Vado sempre poco sul personale: non ne vale la pena e poi al popolo gl’interessa poco quello che vivo, che penso, che faccio… sempre che sia realmente interessante.
Ma come sopperire a questa mia smania quando mancano argomenti interessanti di cui parlare? La paghetta settimana della figlia di Madonna ha ricevuto uno spazietto sul sito di Repubblica, oltre che un servizio su Studio Aperto, quindi tralasciamo… Sul terremoto di Haiti non saprei che dire, e tutto ciò che dovevo dire su “comportamento post-sisma” l’ho già detto in un post di qualche tempo fa. Quindi mi ritrovo qui a non avere la minima idea di cosa scrivere… però, di fatto, sto scrivendo! UAU!
Potrei raccontarvi dei due esami con degli attributi colossali che devo dare fra meno di un mese, ma sarebbe poco cùl! Però posso consigliarvi l’ascolto dell’album “Ma Fleur”, dei Cinematic Orchestra. Mi vengono in mente loro proprio perché uno dei loro album, “The Man With The Movie Camera” è l’argomento della tesina che porterò (se ce la farò a portarla) ad uno di questi due esami.
Guardando le corde della mia chitarrina acustica, io vi saluto, stupito di aver scritto così (relativamente) tanto per dire che non avevo niente da scrivere…
Quanto mi sento un emo di 15 anni! Gh!

venerdì 15 gennaio 2010

Nineteen Eighty-Four


Non sono solito recensire libri di questo calibro, specie se consideriamo che su questo capolavoro della letteratura è stato detto tutto il possibile. Ma siccome il mio amico Cyberpunk (nome fittizio) si è messo lì a fare recensioni di film e libri, io devo fargli una spietata concorrenza. Inoltre questo blog è un po’ inattivo ultimamente! Sapete com’è… carenza di argomenti.
Non farò certo una recensione accurata perché quelle le potete trovare ovunque, come già detto; spenderò giusto due parole su quello che è forse il mio libro preferito, nonché, pilastro della letteratura, come già detto. Wikipedia mi viene in soccorso aggiungendo che è il romanzo distopico per eccellenza, non si era ancora detto?
1984”: ogni volta che pronuncio questo titolo non posso che provare una sensazione di eccitazione per la sua genialità e squallore per i suoi contenuti. Scritto nel (indovinate un po’?! E invece no!) 1948, da George Orwell (anche questo è un nome fittizio. Controllate pure, malfidati). Parla di una società formata da individui totalmente soggetti alle decisioni del governo, a cui capo troviamo niente popò di meno che il Grande Fratello, non quello della tivì, ma un signore che nessuno ha mai visto né sentito che però emana ordini, decide cosa si fa e cosa non si fa (dopo aver letto il romanzo troverete raccapricciante che abbiano usato questo nome per il programma televisivo!). Ci troviamo davanti ad una società dove pensare con la propria testa non solo fa male, ma è anche considerato un crimine!
Il protagonista non poteva che essere quindi una persona che si oppone a questo lifestyle così tristemente cool e che sarà quindi costretto ad una vita non proprio facilitata, ma questo lo dovete leggere nel libro!
La cosa su cui volevo soffermarmi è l’attualità di questo testo. Vi starete chiedendo (o forse no) come può un romanzo scritto più di 50 anni fa ad essere attuale. Chissà forse Orwell aveva un palantir, forse ha viaggiato nel futuro, forse si è calato degli acidi particolari e poi c’ha buttato sopra dei superalcolici, fatto sta che nella storia si parla di uno schermo in ogni casa (vi dice nulla?), microfoni e spie che controllano quasi ogni luogo (vi dice nulla?), persone che cambiano idea solo perché glielo dice il partito (vi dice nulla?) etc. etc.
Se avete fiducia nella giustizia, nei governi e in quello che vi dicono le televisioni allora scordatevi di aver letto tutto questo. Se, invece, avete voglia di leggere un libro che ha illuminato molti e che, già prima degli anni ’50, ci vedeva chiaro… leggetevi “1984”. L’avete già letto? Rileggetevelo!
Distinti saluti.

P.S. Il Grande Fratello vi osserva…