lunedì 27 dicembre 2010

Storie brevi #2: Assolo

Lo ritengo impossibile, ma se qualcuno volesse riportare una parte o la totalità di questo racconto, può farlo liberamente. Gradirei però essere avvertito e citato come autore.
Così come qualora qualcuno, leggendo quanto segue, si senta frodato di un'opera da esso prodotta (opera della quale io non sono a conoscenza, giuro!), è autorizzato a farmelo presente.


Assolo

   Ci fu uno sguardo d’intesa tra me e il contrabbassista che stava suonando sul palco. Entrambi, non so come, sapevamo che di lì a poco sarebbe morto qualcuno – o meglio, non so come facesse a saperlo lui. Io lo sapevo per certo, ma lui… Fatto sta che ce lo dicemmo, guardandoci.
   Stavo seduto al bancone, chiedendomi a chi sarebbe toccato? A quel giovane ragazzo, assorto nella musica, seduto ad un tavolino al centro della sala? Probabilmente non se ne sarebbe nemmeno accorto, non avrebbe udito il colpo né si sarebbe reso conto che un proiettile gli stava perforando un punto vitale del corpo. Sarebbe toccato alla bionda che fumava vicino alla finestra? Era così maledettamente bella che veniva voglia di scegliere lei solo per finire di fumare quella sua sigaretta. Sarebbe toccato al barista del locale? Oppure al trombettista, magari proprio durante il suo assolo?
   Era un locale piuttosto carino, infondo. Servivano del buon vino, e dello scotch ottimo; quasi tutte le sere c’era musica dal vivo, prevalentemente jazz. C’era anche una libreria con una collezione di libri piuttosto fornita, a disposizione della clientela. Era tra il vecchio cinema abbandonato e la chiesa di S. Qualcuno; una zona poco frequentata, benché vicina al centro della città. Il posto perfetto, l’atmosfera perfetta. Mentre scrutavo la sala, il mio sguardo tornò a posarsi sui musicisti: il contrabbassista ora aveva gli occhi chiusi, era evidente che ciò che stava osservando era la musica. Sembrava intento ad afferrare le note che avrebbe dovuto suonare. Dopo poco riaprì gli occhi e ricambiò lo sguardo nei miei confronti; ma qualcosa nelle sue pupille era cambiato. Suonò un paio di note così soavemente seducenti che tutta la sala cadde come in un beato coma. A quel punto, mentre il trombettista, smarrito completamente nel suo ottone, iniziò il suo assolo, entrambi estraemmo l’arma e ce la puntammo addosso. Avevamo scelto.
   Sembrava che, a parte la musica, tutto si fosse immobilizzato, come estasiato. Nessuno si accorse di nulla, neanche che non c’era più il pulsare del contrabbasso a fare da sottofondo a quel suono così passionale. Sembravamo gli unici ad essere freddamente lucidi in tutto il locale. Forse solo la bionda, dal fondo della sala, nella luce soffusa del posto, dovrà aver notato il luccicante riflesso delle nostre pistole, ma non deve aver dato peso alla cosa.
   Entrambi sapevamo che l’assolo stava per finire – conoscevo anche io quella canzone – e che avremmo dovuto prendere una decisione. Se avesse sparato prima lui, il barista avrebbe avuto un morto sul bancone, ma la musica non si sarebbe fermata; se avessi sparato prima io, avrei ucciso un musicista durante un concerto, interrompendo un’atmosfera pressoché perfetta… ammesso che qualcuno se ne sarebbe accorto prima della fine della canzone. Inoltre, uccidere un musicista durante un concerto mi sembrò alquanto vile. Con la stessa velocità con cui avevo estratto la pistola, la rimisi nella tasca interna dell’impermeabile e sorseggiai dal mio calice. Se avesse sparato, me ne sarei andato col sapore di vino in bocca, almeno.
   Erano le ultime note dell’assolo, aveva due possibilità: sparare o rinfoderare. Non avrebbe avuto il tempo di farle tutte e due le cose prima di rimettersi a suonare. Decise che non voleva dare del lavoro in più al barista, e scelse di rimettere dentro l’arma.
   Con la fine dell’assolo anche i clienti del locale si ripresero dal loro sonno estatico: sembrava di essere in una grande camerata dove fosse appena suonata la sveglia e tutti si fossero alzati, smarriti per essersi svegliati coi vestiti addosso e senza ricordare come e quando fossero capitati lì. Io e lui non ci guardammo più, ma prima di uscire dal locale lasciai una bevuta pagata per il contrabbassista. «Siete amici?», mi chiese il barista, «No, è solo che è un bravissimo musicista.»

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