mercoledì 13 aprile 2011

"Questi suonodipendenti. Questi silenziofobi."

Attraverso i muri arriva il boato attutito della conversazione, poi un coro di risate. Poi un altro boato. La maggior parte delle risate preregistrate che si sentono in TV risalgono all'inizio degli anni Cinquanta. Oggi buona parte della gente che sentite ridere è morta.
Dal soffitto cala il tump tump tump di una batteria. Il ritmo cambia. A volte i colpi sono più vicini, accelerano, oppure si dilatano, rallentano. Fermarsi, non si fermano mai.
Dal pavimento sale la voce di qualcuno che abbaia le parole di una canzone. Questa gente che ha bisogno di tenere accesa la televisione o la radio sempre e comunque. Questa gente terrorizzata dal silenzio. Eccoli, sono i miei vicini. Questi suonodipendenti. Questi silenziofobi.
Risate di gente morta che filtrano da tutte le pareti.
Oggigiorno, ecco cosa ti spacciano come casa dolce casa.
Questo assedio di rumore.
[…]
A casa, dal soffitto scendono i colpi di una musica veloce. Voci terrorizzate attraversano le pareti. I casi sono due: o un'antica mummia egizia ha ripreso vita per una qualche maledizione e sta facendo fuori quelli della porta accanto, oppure stanno guardando un film.
Sotto il pavimento gente che grida, un cane che abbaia, porte che sbattono, l'attacco di una canzone: «1,2,3...».
[…]
Ecco cosa ti spacciano per civiltà.
Gente che non butterebbe una sola cartaccia dal finestrino della macchina e poi ti passa accanto con l'autoradio a palla. Gente che al ristorante non si sognerebbe mai di appestarti col fumo del suo sigaro e poi sbraita nel cellulare. Che grida anche quando la distanza che la separa dall'interlocutore è quella di un piatto da portata.
Questa gente che non si sognerebbe mai di usare pesticidi o insetticidi e poi infesta il quartiere con lo stereo sparando dischi di cornamuse scozzesi. Di lirica cinese. Di musica country e western.
Fuori, un uccellino che canta ci sta bene. Patsy Kline no.
Fuori c'è già il frastuono del traffico, che basta e avanza. Aggiungerci il concerto per piano in mi minore di Chopin non migliora la situazione.
Tu accendi la musica per coprire il rumore. Altri alzano la loro musica per coprire la tua. Allora tu alzi la tua ancor di più. Tutti quanti si comprano uno stereo più potente. È la corsa agli armamenti del suono. E non è con le frequenze alte che vinci.
Non conta la qualità. Conta il volume.
Non conta la musica. Conta vincere.
Per sbaragliare i concorrenti ti ci vogliono i bassi. Le finestre devono tremare. Nascondi la linea melodica con l'equalizzatore e ti metti a sbraitare le parole della canzone. Ci infili dentro delle volgarità e sottolinei bene ogni singola parolaccia.
E così vinci. Perché alla fin fine è una faccenda di potere.
[…]
Questi musicodipendenti. Questi quietofobi.
Nessuno è disposto ad ammettere che abbiamo sviluppato una dipendenza dalla musica. Impossibile. Nessuno sviluppa una dipendenza dalla musica e dalla tv e dalla radio. È solo che ne vogliamo sempre un po' di più. Più canali, uno schermo più grande, il volume più alto. Non possiamo farne a meno, ma per carità: dipendente io?
Potremmo smettere in qualunque momento.
[…]
Questi svagodipendenti. Questi concentrazionofobi.
Il vecchio George Orwell aveva capito tutto, ma al rovescio.
Il Grande Fratello non ci osserva. Il Grande Fratello canta e balla. Tira fuori conigli dal cappello. Il Grande Fratello si dà da fare per tenere viva la tua attenzione in ogni singolo istante di veglia. Fa in modo che tu possa sempre distrarti. Che sia completamente assorbito.
Fa in modo che la tua immaginazione avvizzisca. Finché non diventa utile quanto la tua appendice. Fa in modo di colmare la tua attenzione sempre e comunque.
Questo significa lasciarsi imboccare, ed è peggio che lasciarsi spiare. Nessuno deve più preoccuparsi di sapere che cosa gli passa per la testa, visto che a riempirtela in continuazione ci pensa già il mondo. Se tutti quanti ci ritroviamo con l'immaginazione atrofizzata, nessuno costituirà mai una minaccia per il mondo.
[…]
Oggigiorno, nessuno è più padrone della sua mente. Non puoi concentrarti. Non puoi pensare. C'è sempre qualche rumore che si intromette. Cantanti che strillano. Gente morta che ride. Attori che piangono. Emozioni in piccole dosi.
C'è sempre qualcuno che infesta l'aria col suo stato d'animo.
Con l'autoradio che impone il suo dolore, la sua gioia, la sua rabbia a tutto il quartiere.
[…]
Comunque sia, non è una novità.
Gli esperti che studiano l'antica Grecia dicono che all'epoca la gente non si considerava padrona dei propri pensieri. Quando gli antichi greci formulavano un pensiero, era perché una divinità aveva deciso di dargli un ordine. Apollo gli diceva di essere coraggiosi. Atena di innamorarsi.
Oggi la gente vede la pubblicità delle patatine al formaggio e si fionda fuori a comprarle, però lo chiama libero arbitrio.
Almeno gli antichi greci erano più onesti.

[estratto da Ninna Nanna, Chuck Palahniuk 2002]

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