giovedì 6 marzo 2014

La media bellezza

È estremamente raro che mi metta a perdere del tempo in mezzo a discussioni di questo tipo, dove si schierano due fazioni opposte e si urlano a vicenda. Tuttavia approfitto dell’Oscar a La grande bellezza per fare un discorso un po’ più ampio sul cinema odierno – limitandomi a quelle che sono le mie poche esperienze e competenze – ma soprattutto per aggiornare un blog che sta a fa’ la polvere.


Si sarà notato che l’Oscar dato a Paolo Sorrentino (conosciuto, erroneamente, per aver girato anche Gomorra [vedi Boris]) ha acceso una grossa diatriba sulla validità del film in questione, La grande bellezza.
Subito dopo la premiazione il film è stato trasmesso su Canale 5 e quindi l’hanno visto in tipo 9 milioni. Al che il social network per eccellenza è diventato una trincea dove da una parte combatteva chi difende a spada tratta il giudizio insindacabile che l’opera di Sorrentino sia un capolavoro assoluto e dall’altra quelli che lo giudicano come Fantozzi ebbe a giudicare La corazzata Potemkin di Eisenstein (contributo audiovisivo: http://goo.gl/QSHkfG). Quanti di questi ultimi siano fruitori esclusivamente di cinema scadente e quanti, invece, in grado di dare un giudizio oggettivo, non ci è dato di saperlo.

Negli anni mi sono profondamente convinto di una cosa fondamentale, applicabile al 95% delle situazioni, ovvero che, come dicevano i latini, in medio stat virtus. La verità (sì, lo so che per i latini era “virtù”) sta nel mezzo. In questo dato caso il discorso deve spingersi oltre al mero giudizio cinematografico.
Partiamo dal presupposto che, nella maggior parte dei casi, se la gente è stupida non è colpa sua. Non tutti scelgono di essere stupidi. Alcuni sì, e quelli vabbè. Altri nascono e crescono in ambienti e situazioni dove è difficile – se non, talvolta, sconsigliato o proibito – uno sviluppo culturale e intellettivo, quindi si ritrovano nell’età della ragione con una dose piuttosto bassa di ragione ma, ripeto, non è colpa loro. Pertanto è sbagliato offenderli e denigrarli, così com’è sbagliato sbeffeggiare Brunetta perché è basso o Vespa perché è brutto. Non sono scelte, è capitato. I due soggetti che ho citato, tra l’altro, offrono talmente tanti spunti che fermarsi sui difetti fisici è veramente dimostrazione di superficilità!
Lo so, viene spontaneo canzonare i meno dotati, succede anche a me di cedere alla tentazione. Talvolta lo si fa anche in modo che loro non lo capiscano, così da sottolineare la superiorità intellettiva e riderne insieme a quelli furbi, guardando le facce inconsapevoli dei bersagli. Ma è sbagliato.
Ergo è sbagliato anche imputare a questa categoria di persone la colpa di non aver capito, apprezzato, elogiato il film di Sorrentino, piuttosto che un qualsiasi altro film d’autore, ma di essere invece dei crociati del cinepanettone.
La colpa, se di colpa si può parlare, è del cinema stesso. O meglio dell’industria che c’è dietro.
Quando nacque il mezzo cinematografico, dopo le prime fasi sperimentali di treni e quant’altro (contributo audiovisivo: http://goo.gl/3Q4UQO), fu da subito considerato un linguaggio di tipo artistico, la settima arte appunto. Nel tempo si è creata una scissione tra cinema inteso come arte e cinema inteso come intrattenimento. Com’è avvenuto, in maniera ancora più evidente, anche nella musica, senza bisogno di esempi.
Per cinema di tipo “artistico” intendo tutti quei film che sono fatti sì per raccontare una storia, ma prima di tutto per dire qualcosa, lanciare un messaggio, usufruendo di tutta quella grammatica che il linguaggio cinematografico offre (sceneggiatura, fotografia, recitazione etc.) in modo studiato e, soprattutto, attinente ad un’estetica ed una poetica proprie di chi il film lo gira. In una frase: fare cinema per fare arte.
L’intrattenimento non ha nulla di tutto questo, o meglio ce l’ha, nel senso che la grammatica di cui sopra è la stessa, ma lo scopo non è fare un’opera che mandi un messaggio o trasmetta dei valori estetico-poetici, ma piuttosto riempire un’ora e mezzo di pellicola per far ridere o esaltare, a seconda del genere; rispettivamente Zalone e i Transformers.
Però anche qui i cari vecchi antenati insegnano che il mondo non è solo bianco o nero e oggi la linea di confine tra queste due realtà si sta assottigliando sempre di più: non è raro trovare un film d’autore esilarante o pieno di scene d’azione e non è raro trovare film meno impegnati dove tuttavia è evidente la volontà di sfruttare questa famosa grammatica cinematografica in modo oculato e autoriale. Anzi, la verità è che questo compromesso è quasi una costante… e non dico che sia una cosa sbagliata, forse addirittura è un valore aggiunto.
Tuttavia esistono casi dove questa demarcazione è molto forte. I lavori di Sorrentino, ad esempio, fanno tutti parte del cinema impegnat(iv)o. Chi si aspetta di trovare Moccia ne Le conseguenze dell’amore o i Vanzina ne Il divo rimarrà profondamente deluso.

Ora, valutando tutto ciò, è giusto o meno accusare di ignoranza e superficialità un pubblico che è stato abituato a film che invece di attivarti i meccanismi neuronali e sentimentali te li frenano? Di chi è la colpa? Di chi i film non li capisce o, piuttosto, di chi finanzia con fiori di quattrini filmucoli insulsi perché riempiono le sale, invece di incentivare la fruizione di cinema autentico?
Lo so che è un discorso molto generale che non tiene conto di molte sfaccettature, ma sta di fatto – almeno credo – che chi il cinema lo manda avanti sarebbe anche in grado di rieducare il pubblico. Magari ci vorranno degli anni ma non è impresa utopica.
Fortunatamente vengono prodotti ancora tantissimi film, la maggior parte, che si possono definire tali, il problema è che sono altre le “opere” che riempiono le sale. E così è.
Poi ci tengo a precisare che non c’è niente di male a guardarsi film totalmente disimpegnati, uno ogni tanto vuole anche riposarsi: l’errore sta nel giudicarle opere più grandi di quello che sono. A me il primo di Zalone m’ha fatto ridere… ma sono novanta minuti di intrattenimento, non di cinema. La questione è così semplice, perbacco!
Quello che invece fa pensare è che l’Oscar al Paolone nazionale ha suscitato una polemica che, quando il film è uscito (ad oggi nove mesi fa, sottolineo: nove!) nessuno aveva scatenato… o quantomeno non in modo così violento. Perché? Perché quando è uscito non l’hanno visto 9 milioni di persone. Sono andati a vederlo solo coloro i quali sapevano che l’avrebbero apprezzato… o, più precisamente, coloro che sapevano con quali occhi guardarlo. Difatti poi i pareri contrastanti ci sono stati anche allora. Il problema è che una risonanza mediatica così forte ha fatto sì che anche i meno competenti – i facenti parte del pubblico diseducato di cui sopra – si siano sentiti in dovere di dire la loro, stroncando un film che per ovvie ragioni non hanno apprezzato/capito. Perché gli è stato insegnato che un film lento è un film noioso, che film come questi sono fatti esclusivamente per intellettuali di sinistra, e quindi sono brutti.
Ma, ripeto, la colpa non è loro. Vedi l’allegoria della caverna di Platone.
L’unica colpa che hanno è quella di aver deciso di esprimersi, ma non quella di non aver capito il film.
Che poi… voglio vedere quanti tra gli “illuminati” l’hanno capito seriamente. Io stesso mi rendo conto di averne capito solo un po’… vabè, io non faccio testo, non è che sia poi ‘sto cervello. Me la voglio un po’ raccontare, ma so che non è così. So di non sapere, diceva uno.

Ma veniamo al film in questione.
Io l’ho visto solo alla sua uscita quindi non ho un ricordo netto, però una cosa la ricordo: non è un capolavoro.
Certo, inserito in un contesto cinematografico globale è un film che senza dubbio si distingue da molti altri, ma se escludiamo tutti i film fatti per le risate e il testosterone, lasciando solo quelle opere che rientrano nei veri canoni cinematografici, la posizione in classifica de La grande bellezza, si abbassa drasticamente. È un buon film, posso arrivare a notevole, ma i capolavori sono altri. E sono pochi.
Tutta questa faccenda cosa dimostra? Dimostra che è bastato dare un po’ più di visibilità a un film d’autore perché anche coloro che erano fuori dal target si siano sentiti in dovere di vederlo (“Ne parlano tutti, sarà fico! Ha vinto anche un Oscar!”), scatenando così una guerra che ha pochissime ragioni di essere.

Invito caldamente alla visione di questo breve spezzone del film Sogni d’oro di Nanni Moretti (non oso immaginare se l’avesse vinto Bianca l’Oscar…), parla da sé:


In alternativa a tutta questa disquisizione, si profilano due ipotesi: o Sorrentino è un grandissimo troll, oppure è un complotto ordito da Leonardo Di Caprio per screditare gli Oscar.



Oppure non è così?

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ho trovato il tuo articolo molto pertinente! Sono d'accordo quasi su tutto! per ampliare la tua disquisizione ricordo che spesso la difficoltà risiede anche nel saper riconoscere un lavoro valido indipendentemente dai propri gusti. E questo è valido sia per chi ama il cinema in tutte le sue forme e declinazioni, sia per chi lo prende meno sul serio.